VENEZIA – Tra lustrini e pallettes sul red carpet della Mostra del Cinema di Venezia compare anche Michele Santoro con un outfit che non è passato certo inosservato. Abito informale, frescolino, senza cravatta e… sandali! Sarà stata l’aria salmastra della laguna, oppure il look trasandato che fa tanto moda, fatto sta che i francescani indossati dal giornalista, per giunta con tacco rialzato, non sono certo sfuggiti all’occhio critico di giornalisti e fotografi. Il teletribuno, che prepara un grande ritorno in tv nell’amata/odiata Rai, è volato a Venezia per presentare fuori concorso, nella sezione “Cinema nel Giardino”, il suo documentario Robinù, realizzato tra Napoli e Scampia e che racconta i baby boss della camorra.
E’ una “grande notizia dimenticata, la Paranza dei Bambini“, spiega all’Ansa Santoro. La realtà dei camorristi adolescenti, mezzi analfabeti, con droga e kalash (il kalashnikov nel loro strascicato incomprensibile dialetto) come compagni di vita. Una storia scioccante, girata – “con parecchie difficoltà”, racconta Maddalena Oliva che con Santoro lo ha preparato – nel ventre molle di Napoli, a Porta Capuana, a Forcella, ai Tribunali.
Con grande slancio Santoro spera che “la Rai lo trasmetta in prima serata, sarebbe una scelta editoriale e gli attuali vertici Rai hanno tutti gli strumenti culturali per non scambiarlo per una provocazione. Il documentario crudo, puro, integralista dovrebbe essere una produzione prioritaria, stare al primo posto nel contratto di servizio. Il nuovo gruppo dirigente Rai – prosegue Santoro – è sensibile, attento e colto, ma è come se fosse piegato ad una logica della rappresentazione del reale ordinata, pedagogica, ispirata ai buoni sentimenti, bisogna invece fare un atto coraggioso, una scelta politica di rappresentare la realtà disordinata come è”.
Il film incrocia le storie di adolescenti killer consumati, Santoro intervista due baby boss in particolare e le loro famiglie assolutorie: Mariano Abbagnara che è stato il killer ragazzino dei D’Amico, il clan che ha in mano tutta la zona orientale di Napoli e che ora sta scontando una condanna a 16 anni nell’Istituto penale minorile di Airola, e Michele Mazio detto Michelino, condannato a 24 anni con una carriera completa: un babyboss maturo – ha compiuto 22 anni nel carcere di Poggioreale – adorato dalla sua famiglia che ha costretto il fratello maggiore ad espatriare in Francia perché da pizzaiolo voleva vivere onestamente.
“Ho avuto una lezione molto pasoliniana – dice Santoro – siamo abituati a vedere ragazzi cinici, killer spietati mentre convivono tra la morte e una grande passione per la vita che noi che stiamo bene non sappiamo altrettanto nutrire”. Si è molto discusso del fascino per male di Genny Savastano e dei protagonisti di Gomorra, “ma è sbagliato, questo fascino nei rioni di Napoli ce l’hanno con ragazzi veri, leader che loro rispettano e mitizzano. L’inchiesta di Robinù da una parte conferma che la fiction non è campata per aria, dall’altra che Gomorra semplifica costruendo tipi che sono maschere, mentre la realtà di questi giovani è molto varia e il documentario è sentimentalmente più forte di una serie tv”.