I miliardi, ovvero le nostre partecipazioni statali in fuga a prezzi stracciati verso acquirenti molto puliti, magri e in guanti bianchi, non puzzano di arrosto e di letti sfatti come le truffe di Anagni.
Hanno il profumo della grande élite planetaria. Siamo in pochissimi a insinuare che dietro le panze sbattute in prima pagina ci siano veri e propri traslochi di quei beni che appartenevano al popolo italiano fin dai tempi dell’Unità. Viene naturale – anche a chi guarda la tv – pensare che la sua pensione sarà decurtata per pagare poche migliaia di euro alla fidanzata di Fiorito. E invece… sembra, in certi momenti – e quello attuale somiglia drammaticamente al 1992-’93, speriamo stavolta non ci siano le bombe di allora – che lo scandaletto locale arrivi come il cacio sui maccheroni.
Cosa c’è di meglio di un ciccione sudato – del Pdl, dunque ideale – per svendere alla Porta Portese mondiale pezzi di Eni, Finmeccanica, Fiat ecc.? I colleghi giornalisti sonnecchiano divertiti dal “colore”, i direttori incassano qualche copia in più, gli editori sono pazzi di gioia perché nessuno li marca stretti e possono dedicarsi ai loro veri affari. Intanto, non sappiamo quando voteremo, con quali regole. Non conosciamo né i partiti e nemmeno i programmi su cui saremo chiamati a giudicare passato, presente e futuro. Nessuno sembra farci caso, soltanto ai Radicali questo risalta come uno scempio di quella legalità di cui si riempiono la bocca i tribuni dell’anticasta.
Ma come? Dobbiamo rottamare, rinnovare, rilanciare, ricrescere e nessuno ci dice a che gioco giocheremo solo fra poche settimane. Incredibile. Ho già scritto che gli anni in cui si rinnova il Quirinale – unica autorità riconosciuta all’estero – dossier e scandali agitano le acque e confondono i cittadini. Ma mai come questa volta. Non mi pare ci siano precedenti così sgangherati.
Barbara Palombelli su Il Foglio del 3 ottobre 2012