ROMA – “Il rimpasto che doveva rilanciare Roma? Se l’è magnato il sindaco senza paga’”.
Scegliamo questa come frase del giorno, una battuta circolante tra i chioschi di Roma raccolta da Mario Ajello del Messaggero, all’alba delle dimissioni di Ignazio Marino da sindaco. Colpisce nel segno il disincanto romano e la cinica saggezza popolare di una città che assiste con il consueto scetticismo al fallimento di una amministrazione che, a guardar bene, riguarda tutti. Non solo il marziano a Roma, l’ultimo giapponese. Luoghi comuni dove si incontrano le opposte fazioni (chi tira le monetine e chi paventa la vittoria di Mafia Capitale).
Ma nelle strade, tra i quartieri, con la compostezza di una città che ha visto tutto, il mood politico è più sfumato, perché la preoccupazione avanza, ma il tempo della disillusione è di lunga durata, ha già aggredito il futuro.
Come di re, “Marino ha le sue colpe, ma le cause di questa disfatta sono tante. Un governo centrale poco attento alla nostra città, una politica corrotta, un gran numero di immigrati con poche speranze di integrarsi. E stamattina il 360 non passava!”.