Eloisa non si arrende. È ancora giovane (ha circa 35 anni) ed è presa dai ricordi che lei considera indimenticabili e carichi di passione: «Il piacere che ho conosciuto è stato così forte che non posso odiarlo». E pone ad Abelardo in maniera lacerante questa domanda: «Perché la sublimazione si dovrebbe raggiungere soltanto annichilendo i sensi e il sentimento d’amore che si prova verso un’altra persona?» Ma Abelardo è irremovibile: da abate qual è, le ricorda severamente il suo ruolo di badessa, invitandola a dedicarsi allo studio e alla preghiera. Eloisa questa volta obbedisce e, nella sua terza e ultima lettera dal Paràclito, promette che non parlerà mai più del passato e dei propri sentimenti ad Abelardo.
Nell’autobiografia Historia calamitatum mearum, ovvero la prima delle sue lettere, Abelardo stesso riconosce le proprie colpe, dicendo che il suo incontro con Eloisa e la passione che ne conseguì fu la giusta punizione per la propria superbia, accresciutasi dalla gloria e dalla fama raggiunta con le lezioni che diventavano sempre più seguite: ” … la ricchezza insuperbisce sempre gli stolti, le sicurezze terrene indeboliscono il vigore dell’animo, che si fa poi facilmente adescare dalle lusinghe dei sensi … la pietà divina mi richiamò a sé, umiliandomi perché ero superbissimo e avevo dimenticato che tutte le qualità di cui mi vantavo non mi appartenevano, ma erano doni divini”.
Nei suoi ultimi anni Abelardo è ospitato nel convento di Cluny da Pietro il Venerabile. Da qui scrive a Eloisa, eletta badessa del Paràclito nel 1136: «Mi vedrai presto, per fortificare la tua pietà con l’orrore di un cadavere e la mia morte, ben più eloquente di me, ti dirà che cosa si ama quando si ama un uomo». Abelardo chiede all’amata di seppellire il suo corpo nel cimitero del Paràclito.
La notizia della sua morte, avvenuta il 21 aprile 1142, è data a Eloisa da Pietro il Venerabile: «Cara e venerabile sorella in Dio, colui al quale dopo il legame carnale, siete stata unita dal legame più elevato e più forte dell’amore divino, colui col quale e sotto il quale avete servito il Signore, questi… lo riscalda nel suo seno e nel giorno della sua venuta… lo custodirà per rendervelo con la sua grazia».
Sepolto dapprima nel vicino eremo di Saint-Marcel (una dipendenza dell’abbazia di Cluny), nel dicembre dello stesso anno è traslato nel suo Paràclito, dove Eloisa ne accoglie le spoglie. Alla sua morte, il 16 maggio 1164, anche Eloisa vuole essere sepolta nello stesso loculo: una romantica leggenda riferisce che le braccia del cadavere di Abelardo si aprissero nel momento della deposizione della moglie.
I resti dei due amanti, già inumati all’esterno del Paràclito sotto un rosaio, spostati ancora all’interno, furono più volte ispezionati. Una relazione medica riferisce dei due lunghi femori di Abelardo e del teschio rotondo di Eloisa. Il convento fu venduto nel 1792 (ora ne restano dei ruderi), rispettando la tomba: nel 1800 il loro feretro fu trasportato a Parigi nel cimitero del Père Lachaise e l’anno dopo fu costruita una cappella. Ancora spostati nel 1814 al tempo della restaurazione monarchica, alla fine del 1817 furono finalmente ricollocati nella stessa cappella dove tuttora riposano.
