Dopo la caduta del Muro di Berlino, senza attendere neppure gli sviluppi dell’evento più importante del Ventesimo Secolo, dopo le due guerre mondiali, la sinistra europea, capeggiata dal Partito comunista italiano, il più grande partito comunista di osservanza sovietica d’Occidente, decise di diventare un’altra cosa.
Nel modo che sappiamo e che lasciò sbigottiti perfino gli avversari di sempre: autodistruggendosi. Il discorso alla Bolognina di Achille Occhetto fu il primo atto della dissoluzione. Ad esso seguì un lungo travaglio che avrebbe portato il Pci-PDS-Ds (poi diventato l’informe marmellata del Pd, con l’apporto di altri soggetti) ad abbracciare la religione liberista della globalizzazione e a farsi promotore di una “sinistra globale” nel senso di modulare la lotta classe – quantomeno desueta, si disse – in una lotta per il mercato assoluto nel quale necessità reali e bisogni fittizi si sarebbero confusi fino a non distinguere più i ceti con le loro differenze ed i disagi che li caratterizzavano.
L’Ulivo mondiale fu il più grottesco approdo, devastato poco dopo dalla fine del potere di Clinton e Blair, Prodi e D’Alema, Jospin e Schroeder, di una sinistra irreale che per correre incontro al “mito globalista” dilapidò la sua identità negandosi all’apertura della reale comprensione del mondo nel quale il suo unico riferimento era addirittura il profitto, sia pure mitigato (e fatto accettare) da promessi processi di equità e di giustizia sociale contro l’impoverimento progressivo che l’establishment mondialista aveva provocato soprattutto in quel Terzo Mondo riferimento per generazioni di rivoluzionari post-sovietici, neo-maoisti, radicali e libertari.
George Soros, magnate dal volto umano e dal portafogli gonfio come pochi miliardari al mondo, divenne il riferimento di una sinistra sbandata ed infedele a se stessa che si è persa quando ha assecondato la costruzione dell’Unione europea su basi tecnocratiche e l’introduzione dell’euro.
La sinistra ha deciso di estinguersi poi completamente quando è diventata “liberal”. Il racconto che di questa metamorfosi fa Paolo Borgognone, lungo 1044 pagine, densissime, fitte di citazioni, analisi, commenti e dati è imprescindibile per chiunque voglia comprendere non soltanto il “volto sinistro della sinistra”. Un racconto realmente impressionante perché viene offerto da un intellettuale di sinistra, comunista non saprei quanto, forse nazional-bolscevico se la definizione non guastasse storicamente.
L’editore Zambon che alle espressioni antagoniste ed anticonformiste dà uno spazio che nessun grande editore si sognerebbe di dare, pubblica questo testo ammirevole da molti punti di vista, persino da chi lo vorrà contestare, per la mole di spunti di riflessione che offre, allo scopo di svelare le dinamiche del radicalismo liberale attraverso la critica ai movimenti culturali e politici che ne hanno favorito la diffusione tradendo le loro stesse origini.
“Nell’epoca del capitalismo assoluto – scrive Borgognone – (un capitalismo frutto di un meccanismo di riproduzione globale, anonimo e impersonale) infatti, come ha dichiarato il politologo francese Alain de Benoist, i partiti socialisti europei sono ‘divenuti dei liberali di sinistra, ovvero rappresentanti dell’ala di sinistra del Capitale’. I partiti socialisti e radicalchic europei sono infatti i rappresentanti del versante culturale, libertario e cosmopolita, della globalizzazione americanocentrica. L’internazionalismo cosmopolita della sinistra odierna deve essere pertanto letto come professione di fede culturale al postmoderno anarchismo del consumo e del desiderio capitalistico illimitato da parte di tale sinistra”.
La “filosofia unica” o il “pensiero unico” a cui si ispira la sinistra (chiamiamola ancora così) mondialista è materialista e determinista dal punto di vista morale e dei diritti individuali, universalista per ciò che concerne il mercato unico fonte di benessere – a suo avviso – dei popoli e di moderazione degli squilibri sociali dimenticando che chi tira le fila è l’alta finanza internazionale a cui sono asservite le nazioni più povere, a cominciare da quelle africane soggette ai “capricci” di organismi internazionali, come il Fondo monetario internazionale, che mena le danze e contribuisce a determinare l’autonomia o la dipendenza dei popoli. Insieme con il WTO nel cui ambito si decidono quali devono essere i bisogni da assecondare e dunque muovere lo sviluppo e determinare perfino le mode, oltre alle culture, nella direzione di un consenso generale che appunto per questo viene chiamato “pensiero unico”, il prodotto dell’uniformità e dell’egualitarismo di facciata.
E’ il mondo del post-moderno e, dunque, della filosofia della “fine della Storia” anche se poi l’uomo, tutt’altro che uniformato, s’incarica di volgere i destini programmati ad altri scopi, scompaginando ciò che è stato deciso altrove. Da questo punto di vista Borgognone elabora, ricucendo le tesi prevalenti, una teoria del progresso finalizzata alla legittimazione del dominio da parte delle classi dirigenti, dell’establishment, delle oligarchie che si avvalgono molto spesso della retorica dei diritti umani dimenticando i diritti dei popoli, una dimensione questa che la sinistra non ha mai coltivato a dire la verità ed oggi si vede scavalcata proprio dalle esigenze popolari (non populiste) che la condannano alla marginalità nell’interpretazione delle vicende che ci tengono in apprensione: dall’emersione della povertà come motore di dissenso perfino violento alle guerre di religione e che della religione fanno il loro vessillo al fine di coinvolgere sempre il popolo in tentativi di conquista, guarda caso armati da Stati che con le loro ricchezze cercano di creare gli imperi futuri fondati sull’intolleranza. E’ l’islamismo radicale, il jihadismo la via d’uscita per queste specie di residui dell’antico antagonismo tra i popoli fanatizzati. E con tali supporter gli Stati occidentali, i detentori della verità democratica fanno affari senza ritegno, accendendo primavere che si spengono in men che non si dica o tentando di esportare la democrazia a maggior gloria dei grandi complessi industriali e militari.
La sinistra liberal ha favorito il caos. Dal bombardamento di Belgrado all’interventismo preventivo nell’Asia centrale.
Scrive Borgognone: “La religione idolatrica del mercato (monoteismo del mercato), del denaro e delle ‘libertà individuali’ veicolata dai liberali postmoderni, stermina i popoli, favorisce il dileguare delle differenze (di nazionalità, di religione, di classe, di genere) e sostituisce alle classi sociali indistinte moltitudini biopolitiche snazionalizzate, dedite esclusivamente alle variabili attitudinali dei flussi di desiderio e dei modelli di consumo consentiti nell’ambito della subcultura del nomadismo cosmopolitico della rete internet globale”.
Qual è la conclusione? Drammatica. “Il radicalismo liberale postmoderno unifica ‘destra’ e ‘sinistra’ in nome dell’antropologia della fine capitalistica della Storia”. La devastante desertificazione delle culture politiche e del pensiero critico è il prodotto della resa incondizionata al mercatismo.
Se ne prenda atto senza cercare alibi. Dal 1989 abbiamo cominciato a perdere tutti.
PAOLO BORGOGNONE, L’immagine sinistra della globalizzazione, Zambon editore, pp.1044, € 28,00