Port-Royal del Santo Sacramento, nei sobborghi di Parigi, fu il centro di elaborazione e di irradiazione del giansenismo nella seconda metà del Seicento. Le suore di clausura che lo animavano e ne custodivano lo spirito furono ripetutamente invitate dalle autorità ecclesiastiche ad osservare i precetti canonici e a tal fine vennero più volte “visitate” da alti prelati che si trovarono a combattere la tenacia delle religiose le quali, affidandosi ad una primitiva adesione al cristianesimo delle origini, intendevano vivere spiritualmente senza interferenze la loro fede. Lo scandalo che la “ribellione” suscitò non lasciò indifferenti coloro i quali della questione in vario modo si occuparono nei secoli successivi. Tra questi il grande scrittore e drammaturgo francese Henry Millon de Montherlant (1896-1972) che negli anni Quaranta del Novecento scrisse un dramma, “Port-Royal”, appunto, che nella nella sua vasta produzione rappresenta una delle prove più intense del poligrafo francese amante dei “cari romani”, non meno che cultore appassionato della cattolicità come “forma” innanzitutto che eccentricamente faceva convivere con il suo paganesimo tutto intellettuale ed estetico.
Henry de Montherlant (1896-1972), scrittore e drammaturgo francese, espresse nei suoi primi romanzi una concezione eroica dell’esistenza influenzata da Nietzsche, ma anche il culto della rinuncia come dominio di sé. Fu inoltre autore di saggi e di tragedie “cristiane” e “profane”, buona parte delle quali si possono leggere in italiano. Dal 1960 al 1972 fu accademico di Francia. Ammalatosi gravemente, diventato quasi cieco, si tolse la vita.
Apprestandosi a compiere il suo estremo gesto, Montherlant comprendeva le ragioni della morale cristiana contrarie al suicidio. E scrisse: «Se ammiro il coraggio di coloro che si suicidano ammiro anche il coraggio di quanti che per quindici secoli – secoli del cristianesimo – hanno sopportato tutto, perfino le cose più atroci, senza suicidarsi. Il coraggio di morire e di non morire».
Per questo motivo, Montherlant pensava che la sua decisione non contraddiceva i principii del cristianesimo. Egli stesso aveva scritto nei suoi Carnets di avere parlato della fine programmata un cattolico eminente ed autorevole : questi gli avrebbe risposto, in merito alla cerimonia funebre che non avrebbe potuto avere secondo il rito cristiano, che le esequie ufficiali che generalmente accompagnano la morte dei cattolici non erano necessarie e che contava soprattutto l’intenzione. Secondo questa spiegazione, che convinse Montherlant, i funerali religiosi erano un onore che la Chiesa riserva ai suoi fedeli e che questi ultimi possono rifiutare.
Le sue ceneri furono sparse dall’esecutore testamentario Jean-Claude Barat e dallo scrittore Gabriel Matzneff nei pressi del Tempio della fortuna virile, fra i Rostri e nel Tevere, a Roma, come aveva detto più volte ai suoi amici ed ai suoi collaboratori: un omaggio esteticamente grandioso ad una visione della vita coincidente con quel mondo spirituale alla quale aveva informato la sua interaesistenza. Oltre a “Port-Royal” (1954), tra le sue opere si ricordano “La relève du matin” (1920); “Le songe” (1922); “La petite infante de Castille” (1929); “Service inutile” (1935); “La reine morte” (1942); “Le maître de Santiago” (1948); “La ville dont le prince est un enfant”(1951); “Malatesta” (1950);” Celles qu’on prend dans ses bras”(1950);” Brocéliande”(1956); “Don Juan” (1958); “Le cardinal d’Espagne”(1960). In italiano si possono leggere, tra le altre, (l’anno indicato è quello dell’edizione originale), le opere “Il Solstizio di giugno” (1941), “Le ragazze” (1936), “Il caos e la notte” (1962), “La guerra civile” (1965).
Tornando alle suore del Santo Sacramento, Montherlant dedicò, dunque, il dramma, apparso nel 1954 dopo una gestazione tormentata, che è stato ripubblicato dall’editore Nino Aragno, nell’intento di rappresentare le religiose di Port-Royal, attraverso dialoghi di abbagliante bellezza stilistica oltre che di profondità teologica, come le protagoniste di una vicenda mistico-filosofica dai risvolti culturali e sociali, oltre che personali.
Suor Angelica, vice-priora del monastero, mette fine al dramma con queste toccanti parole che avrebbero dovuto indurre al silenzio detrattori e manigoldi che sfruttavano ad altri fini al polemica contro i giansenisti: “La notte che si apre passerà come tutte le cose di questo mondo. E la verità di Dio durerà eternamente e libererà tutti quelli che vogliono non essere salvati che da lei”. Dopo, fa il suo ingresso la nuova Madre preposta al governo del monastero. Dietro di lei dodici sorelle arrivano a sostituire le dodici interdette per la loro ribellione. Su Port-Royal cala il silenzio che durerà secoli, ma la sconfitta di una fede pura, diversamente interpretata, rimarrà comunque a popolare il sobborgo di Saint-Jacques.
Montherlant modulò il suo dramma secondo una convinzione profonda che lo animava: “O si crede al Cristianesimo e lo si vive, e questo è Port-Royal: oppure ci crede e non lo si vive…Preferisco una società che agisce come se non credesse e crede, a una società come la nostra, che si vanta di credere al Cristianesimo, ne imita un po’ gli atteggiamenti, all’occasione se ne fa bella, ma non ci crede e non lo vive”.
L’attualità di questo pensiero è sconcertante. Di più: sublime.
HENRY de MONTHERLANT, Port-Royal, Aragno editore, pp.150, € 10,00