Dagospia lancia Ultra Cafonal: il nuovo libro in cui Roberto D’Agostino racconta in “fottoromanzo” l’Italia della “mignottocrazia”

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Roberto D’Agostino, inventore, padre e creatore quotidiano di Dagospia, ha pubblicato un nuovo libro, intitolato Ultra Cafonal, nel quale descrive la sempre più degradante deriva dei personaggi pubblici dell’Italia di oggi: due anni dopo l’uscita del primo Cafonal, ecco fresca di stampa la nuova raccolta di foto scattate da Umberto Pizzi. O, come lo definisce D’Agostino,  un nuovo “fotto romanzo” che racconta, con parole ma soprattutto immagini, la “mignottocrazia” italiana.

Le foto di Pizzi alimentano quotidianamente il sito Dagospia, mostrando quelle che nella prefazione del libro D’Agostino definisce le esuberanze più “scoperchiate” dei personaggi pubblici di casa nostra. Una deriva che secondo “Dago” è dovuta alla strada intrapresa dalla società odierna, “grazie a blog e social network, YouTube e Facebook, Grande Fratello e iPhone”.

D’Agostino per molti aspetti può essere paragonato a Marziale, con due differenze: una è che il modello usava le tavolette di cera e i rotolo di pergamena e Dago si serve del computer e della fotocamera digitale di Pizzi, l’altra è che Marziale, odiato da tutti, era evitato come la peste mentre D’Agostino, temuto da tutti, è corteggiatissimo, come si potrà riscontrare alle 17,30 di giovedì 18 novembre, alla presentazione del monumentale volume (in libreria da martedì 16) all’Auditorium di Roma (quello progettato da Renzo Piano).

Povero Marziale, mancandogli computer, fax e internet, si dovette accontentare degli epigrammi. Però, a parte i dettagli e la lingua usata dai due fustigatori dei costumi correnti, quello il latino questo l’italiano, c’è molto in comune con gli epigrammi di Marziale, più di quel che si voglia riconoscere a un contemporaneo, nelle sferzanti presentazioni che Dagospia premette agli articoli pubblicati, originali o ripresi dai quotidiani e altre fonti.

Mescolando indignazione, neologismi e uno spruzzo di volgarità, Dagospia è diventato, in accelerazione negli ultimi anni, un punto di riferimento, uno specchio dell’Italia  nell’era presente. Un’era che Roberto D’Agostino, provocatore tanto nel linguaggio quanto nei contenuti,  definisce “l’Età del Cazz per chi, come noi italianetti, non ha avuto l’Età del Jazz”. Dago spiega così il concetto: “Probabilmente, il Cafonal eccellente, profondo, al quarzo, della vita sociale italica, resta il solo tipo di ‘vita’ che oggi ci sia concesso”.

Secondo D’Agostino, la “cafonalizzazione” è un approdo inevitabile al giorno d’oggi: “Ci hanno tolto Dio, il Diavolo, la Rivoluzione, il Sesso Porcone, il telefono a gettoni… Ci resta la ‘cafonalizzazione’ della nostra vita. Un tema monumentale che tutti – Destra, Sinistra e Centro-storico – riconoscono come ‘inevitabile riflesso condizionato’, pulsione primaria, quasi ‘un modo giovane per stare insieme’, da prendere sempre sul serio, magari in quel posto”.

D’Agostino torna ad affrontare il tema dell’importanza delle immagini per la descrizione della società: “Pizzi dopo Pizzi, s’avanza un Bel Paese di ‘delitti & canzoni’, collage panoramico di pecionerie e sconcerie, performance corale di delizie e mestizie, con prepotentissimi bisogni di esteriorità collettiva, dove il post-moderno viene spappolato dal post-tribolo, e le tragedie non aspettano nemmeno il classico giorno dopo per trasformarsi in farse: vanno in onda in tempo reale”.

E dunque, “al grido di ‘io sono la mia fiction’, l’Italia ha sbriciolato come un supplì ciò che restava della sottile parete di cartongesso che separava la vita pubblica dalla vita privata. (In Felicità privata e felicità pubblica il sociologo Albert Hirschman spiega come i pendolarismi della Storia derivino dall’oscillazione dei gusti del pubblico fra questi due poli)”. E’ un po’ questa riflessione a guidare tutta l’attività di Dagospia.

Niente dell’eccesso della società odierna è però lasciato al caso, anzi, sostiene Dago, è studiato nei minimi dettagli: “Va avanti un Grand-Guignol in cui l’esibizione è studiata e recitata, è diventata uno strumento di lavoro, di certo una strategia di sopravvivenza. Forse l’attuale Età della Monnezza nasce dal bisogno di sentirsi vivi”. Infatti, “i nostri eroi si smutandano, si ingozzano, si sfanculeggiano, si bombardano di botox perché soffrono di una grande angoscia: il timore di non esistere. Il terrore di essere dimenticati è la molla psicologica dell’incontinenza fisica, della sregolatezza triviale, dell’imbecillità via catetere”.

Ma si tratta, è la tesi, di comportamenti necessari per “sopravvivere” nel mondo odierno: “I sintomi psicotici – i comportamenti ‘da cafonal’ – sono solo modi con cui certi individui si adattano all’ambiente dove vivono, e insieme se ne difendono”.

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Alberto Francavilla