
Dolore basta, ora è algofobia, così "abbiamo bandito la sofferenza dalle nostre vite”, Byung-Chul Han e la pandemia
Dolore basta, ora è algofobia, spiega questo breve saggio di filosofia scritto da Byung-Chul Han, “La società senza dolore”. Una riflessione sul perché abbiamo allontanato la sofferenza dalle nostre vite.
Nato nel 1959 a Seoul, Byung-Chul Han ha studiato Filosofia, Germanistica e Teologia cattolica a Friburgo e Monaco di Baviera. Professore di Filosofia e Studi culturali presso la Universität der Künste di Berlino. I suoi libri vengono tradotti in diverse lingue. In Italia sono usciti per la casa editrice Nottetempo, questo è il primo per l’Einaudi.
Il libro è snello, 96 pagine in totale, all’osso dei concetti. Volendo si legge in poche ore. Ma forse occorre di una fruizione lenta, che dia il tempo alle riflessioni che arrivano di maturare nel lettore.
“Oggi imperversa ovunque una algofobia, una paura generalizzata del dolore, ”scrive Han nella prima pagina del libro, “l’algofobia ha come conseguenza un’anestesia permanente. Si evita qualsiasi circostanza dolorosa”.
Da questa assunzione Han muove i primi tasselli della sua analisi.
Ci consegna la visione di una società nella quale “il dolore viene interpretato come un segno di debolezza, qualcosa da nascondere o da eliminare in nome dell’ottimizzazione” (pagina 7).
La definisce “la società palliativa” cioè una sorta di analgesico, una condizione dove “il dolore viene privato di qualsiasi possibilità di espressione: viene condannato a tacere” (pagina 7).
Per Han “il dolore è un complesso costrutto sociale
La sua presenza e il suo impatto sulla società dipendono anche dalle forme di dominio” (pagina 13).
Ed è il neoliberismo la forma di dominio nella quale secondo Han il dolore diventa altro rispetto al passato.
“Il dispositivo neoliberista della felicità ci distrae dai rapporti di dominio vigenti costringendoci all’introspezione. Fa sì che ognuno si tenga occupato solo con sé stesso, con la propria psiche, invece di indagare criticamente le questioni sociali” (pagina 17).
“La nuova formula di dominio recita: sii felice. La positività della contentezza scaccia la negatività del dolore. In forma di capitale emotivo positivo, la felicità deve garantire un’ininterrotta capacità di prestazione” (pagina 16).
In questo modo, “la psicologia positiva sigilla la fine della rivoluzione. A salire sul palco non sono i rivoluzionari, bensì i trainer motivazionali che impediscono il diffondersi del malumore o anche della rabbia” (pagina 17).
“Invece della rivoluzione, c’è la depressione” scrive definitivo Han
“Il dolore regge la felicità. La felicità dolorosa non è un ossimoro. Ogni intensità è dolorosa. La passione unisce il dolore e la felicità. La profonda felicità contiene un attimo di sofferenza […] Se il dolore viene soffocato, ecco che la felicità si appiattisce riducendosi a un apatico torpore. La profonda felicità resta inaccessibile a chi non è aperto al dolore” (pagina 20).
Un saggio pungente, non c’è dubbio, in alcuni passaggi addirittura zelante, come ad esempio a pagina 23, quando afferma che “anche i sacerdoti si esercitano nel distanziamento sociale e indossano le mascherine. Sacrificano del tutto la fede sull’altare della sopravvivenza […] La virologia esautora la teologia”.
Ma basta andare avanti di due pagine per trovare un altro passaggio tagliente: “la società dominata dall’isteria della sopravvivenza è una società di non morti. Siamo troppo vivi per morire e troppo morti per vivere. Nella preoccupazione esclusivamente rivolta alla sopravvivenza noi siamo uguali al virus, questa creatura non morta che si limita a moltiplicarsi, quindi a sopravvivere, senza vivere” (pagina 25).
“Una società di non morti”
“Troppo vivi per morire, e troppo morti per vivere”, “sopravvivere senza vivere”, gran belle sollecitazioni per chi ha voglia di pensare.
Ma ce ne sono molte altre negli undici brevi capitoli, e non sono folclore filosofico, anzi. Per portare acqua al suo mulino, Han attinge dai grandi del pensiero del Novecento, da Paul Valéry a Freud, da Walter Benjamin a Ernst Jünger, Kafka, Nietzsche, Schubert, Proust, Heidegger e molti altri.
Han ne è convinto, “la vita viene sacrificata in nome della sopravvivenza confortevole” (pagina 43). Lo spiega molto bene nel sesto capitolo, “Verità del dolore”, quando scrive che siccome “il dolore è realtà”, la nostra epoca è “un’apatia nei confronti della realtà, anzi un’anestesia della realtà”.
Un surrogato di vita senza dolore
Tradotto: avendo abolito il dolore – che è vita -, viviamo un surrogato di vita. “Solo un doloroso shock di realtà riuscirebbe a strapparci da questa situazione” ci dice Han, “la reazione di panico nei confronti del virus si rifà parzialmente a questo effetto scioccante. Il virus restituisce la realtà” (pagina 45).
I capitoli centrali del libro sono tre, “Dialettica del dolore”, “Etica del dolore” e “Ontologia del dolore”.
Forse è la sezione più filosofica del saggio, nella quale Han accelera su taluni aspetti del suo pensiero, strutturando un ragionamento più articolato ma sempre con una narrazione che non si allontana dal tono delle citazioni riportate in questa recensione.
Così facendo, non si arriva stanchi al capitolo finale del libro, “L’ultimo omino”.
Ed è un bene, perché proprio in queste pagine emerge quella che potremmo chiamare, giocando un po’ con le parole, «la cassetta degli strumenti» che Han ci consegna per interpretare al meglio il nostro tempo.
Sorveglianza biopolitica e dolore
“Alla luce della pandemia, ci dirigiamo verso un regime di sorveglianza biopolitica” ammonisce (pagina 75).
“Tale sorveglianza biopolitica dell’individuo non è tuttavia compatibile coi fondamenti del liberismo. Ma a causa del dispositivo d’igiene, la società della sopravvivenza si vedrà obbligata a rinunciare ai principi liberali”.
Han su questo punto è chiaro: “Oggi il capitalismo si sviluppa diventando un capitalismo della sorveglianza. La sorveglianza genera capitale. Siamo continuamente sorvegliati e influenzati dalle piattaforme digitali. I nostri pensieri, sentimenti e obiettivi vengono selezionati e sfruttati. L’Internet delle cose estende la sorveglianza alla vita reale” (pagina 76).
Biopolitica digitale capitalismo invulnerabile
“Solo la biopolitica digitale renderà il capitalismo invulnerabile […] quest’ultima non viene vista come oppressione in quanto avanza nel nome della salute ” (pagina 77 – 78).
“Nel giro dei prossimi mille anni, il substrato biologico della sofferenza verrà del tutto sradicato” scrive il transumanista David Pearce citato all’ultimissima pagina del libro. Una vita priva di dolore, munita di costante felicità.
Ma Han avverte: “l’essere umano si fa fuori per sopravvivere. Potrà forse raggiungere l’immortalità, ma al prezzo della vita”.
“La società senza dolore. Perché abbiamo bandito la sofferenza dalle nostre vite” di Byung-Chul Han, Einaudi, pp.96, €13,00 formato cartaceo, €7,99 formato digitale.
