ROMA – Domenico Giglio ha scritto questa recensione per Un sogno italiano.
Avevamo definito “trilogia” i lavori storici di Domenico Fisichella dall‘“Elogio della Monarchia”, a “Il Miracolo del Risorgimento”, al “Dal Risorgimento al Fascismo” ed ora con l’ uscita nel gennaio 2014, del volume “Dittatura e Monarchia – L’Italia tra le due guerre “, (Editore Carocci) riguardante il periodo 1922-1946, siamo alla tetralogia, di wagneriana memoria, della quale l’ultima opera è “Il crepuscolo degli Dei“, con l’incendio finale del Walhalla, strana coincidenza con un libro che si chiude con la scomparsa del duce del fascismo, del Re e della Monarchia.
Fisichella, iniziando l’opera con il 1922 e l’avvento legalitario al potere di Mussolini, si sofferma giustamente, prima di approfondire il problema italiano, con il quadro istituzionale, politico ed economico dell’Europa, quale uscito dalla Grande Guerra, 1914-1918, dopo i vari trattati di pace, ed il clima che si respirava negli anni successivi, con un particolare interesse sulla vicenda della Germania di Weimar, che tanto poi ci avrebbero condizionato e dove Hitler ed il partito nazionalsocialista raggiungono il potere con una serie di successi elettorali che resero inevitabile l’ascesa di Adolf Hitler al Cancellierato e poco dopo a Capo dello Stato, a seguito della scomparsa del Presidente della Repubblica, l‘ultra ottuagenario Feldmaresciallo Hinderburg, (di convinzioni monarchiche), unificazione delle cariche che insieme ai pieni poteri venne concessa ad Hitler, anche da deputati di altri partiti, che forse non avevano studiato le vicende italiane di alcuni anni prima.
Dopo questa panoramica europea Fisichella passa ad esaminare la vicenda italiana con una attenzione particolare ai tre anni dall’ottobre 1922 al 1925 dove ancora il fascismo non era né partito unico, né regime, con le gravissime responsabilità degli “aventiniani“ che non seppero cogliere, dopo il delitto Matteotti, la possibilità di sgretolare la maggioranza parlamentare del “listone“ governativo, che aveva senza dubbio stravinto le elezioni politiche del 1924, rendendo praticamente inutile il meccanismo maggioritario della legge Acerbo, ma nel quale, dato numerico impressionante e poco conosciuto, i “fascisti“ erano solo 227, saliti a 255, ma sempre minoranza sui 535 totali. Non afferrata questa possibilità dalle opposizioni e legando così le mani alla Corona, il governo Mussolini poté proseguire indisturbato il suo cammino e così nel 1926 vengono promulgate le leggi base del regime, sancita la decadenza dei deputati aventiniani, che avevano tentato di rientrare nell’aula di Montecitorio nel gennaio, in occasione della morte della regina Madre Margherita, per cui fino al 1928 rimase in aula solo una decina di oppositori, tra cui Giolitti.
Segue poi l’analisi delle modifiche del sistema elettorale, per il 1928, fino alla successiva scomparsa della Camera dei Deputati e l’avvento della Camera dei Fasci e delle Corporazioni, la persistenza del Senato del Regno, e la sua composizione, oltre al significato etico che il fascismo intendeva dare allo Stato, per cui Fisichella si sofferma a chiarire il relativo concetto, partendo da Rousseau e da Hegel; ed egualmente se il fascismo potesse definirsi un regime totalitario e non semplicemente autoritario, dimostrando l’impossibilità del totalitarismo in una nazione dove persisteva la Corona con le Forze Armate legate al giuramento al Re ed era presente la Chiesa cattolica con il Papa.
Non c’è settore dell’attività governativa, dalla politica economica e sociale, allo sviluppo dell’industria e dell’agricoltura, alle opere pubbliche in Italia e nelle Colonie, che non venga esaminato e documentato, anche con dati numerici, per poi passare, per il periodo fino al 1935 ed all’impresa etiopica, alla politica estera, mettendo in risalto, in numerosi casi, la continuità della stessa, con gli indirizzi precedenti alla presa di potere del fascismo. E per l’impresa etiopica, che vide forse la massima adesione popolare al regime, anche per le “sanzioni” decretateci contro dalla Società della Nazioni, l‘Italia si era mossa certa che non vi sarebbe stata, ed in effetti non vi fu, una vera opposizione alla nostra guerra ed alla conquista da parte della Francia e dell’Inghilterra, che si limitò ad un enorme concentramento nel Mediterraneo di 144 navi da guerra per 800.000 tonnellate di stazza.
Dopo la conquista dell’Etiopia ed alla proclamazione dell’Impero, l‘italia, malgrado discorsi e toni militareschi, come nel discorso di Mussolini del “carro armato“, desiderava ed aveva bisogno della pace, vedi l’ultimo bagliore del convegno di Monaco di Baviera del 1938, ma la guerra civile spagnola con il nostro intervento in aiuto ai nazionalisti di Francisco Franco, lentamente, ma inesorabilmente ci avvicinava alla Germania hitleriana, Germania che giustamente Fisichella ricorda essere una repubblica, e da qui l‘alleanza, l‘Asse Roma-Berlino, la guerra scatenata da Hitler nel settembre 1939, dopo l’allucinante connubio con l’Unione Sovietica, per spartirsi le spoglie della Polonia, la nostra giustificata “non belligeranza“ per nove mesi, ed infine, dopo i travolgenti successi tedeschi in Francia, su quello che si era ritenuto il primo esercito del mondo (sic), la nostra entrata in guerra il 10 giugno 1940, guerra che doveva essere breve e parallela a quella germanica.
Fisichella tratteggia, con ricchezza di dati e di citazioni di numerosi altri storici, come aveva fatto anche in precedenza, l’evoluzione negativa della guerra, la perdita dell’Africa, lo sbarco angloamericano in Sicilia, il 25 luglio ed il nuovo governo, e la conclusione dell’armistizio con il Regno d’Italia ridotto a poche province del Sud, avendo però salvato la continuità dello Stato, e non cercato di salvare la Monarchia come si scrisse e si continua a scrivere, evitando la “debellatio”, e la lenta, ma costante ripresa dello Stato stesso e delle Forze Armate, con la partecipazione di sempre più numerosi reparti del Regio Esercito alla campagna per la liberazione della restante parte del territorio nazionale dalla occupazione germanica, la cosiddetta “cobelligeranza”, non valorizzata in sede di Trattato di Pace.
Infine il difficile inizio della Luogotenenza del Principe Umberto, dopo la sofferta decisione del re Vittorio Emanuele, il 12 aprile 1944, di ritirarsi dalla vita pubblica non appena fosse stata liberata Roma, e con il Re Vittorio Emanuele, scrive Fisichella scompare “l’ultimo uomo del Risorgimento rimasto in Italia“, quell’uomo che da bambino non voleva giuocare il 27 marzo, perché era l’ anniversario della sfortunata battaglia di Novara del 1849 e che all’atto della abdicazione ha il coraggio morale di scrivere di avere sempre mirato al bene della Nazione “anche se posso avere errato“!
Trattando poi del referendum e di come si arrivasse allo stesso, dopo che il Luogotenente era risalito nella stima, sia dei governanti e militari angloamericani, particolarmente Churchill e Clark, sia di politici italiani e diventato Re anche di nome, il 9 maggio 1946, stava riconquistando il favore popolare, Fisichella effettua un’analisi attenta dei dati “ufficiali” dai quali emerge chiarissimo che la Repubblica ha vinto dove vincevano partiticamente i social-comunisti e cioè nel centro nord, dove pure per 18 mesi vi era stata una persistente e faziosa propaganda antisabauda della Repubblica di Salò, e che senza questi voti, di cui quelli comunisti erano non certo per una repubblica democratica mazziniana e per di più di un partito legato ad una potenza straniera l’URSS, i voti repubblicani di una modesta parte di democristiani, liberali, demo sociali, oltre ad azionisti e repubblicani storici non sarebbero bastati alla vittoria della repubblica, di fronte alla massiccia maggioranza monarchica del meridione.
Con questa opera nella quale nella parte finale Fisichella si sofferma anche sulla realtà attuale con interessanti raffronti sui dati elettorali e sui governi della repubblica e relative alleanze e sulla marcia “verso lo zero”, si conclude il ciclo di 85 anni di storia del Regno d’Italia, esposta con la serenità ed obiettività dello studioso che ha senza dubbio le sue convinzioni razionali in merito alla superiorità della monarchia costituzionale ed al ruolo positivo, anche nei momenti più difficili di questi anni, svolto dalla Corona, ma lascia ai fatti esposti la relativa dimostrazione e sono i fatti spesso ignorati, che confermano e rafforzano le convinzioni, quando siano visti senza gli occhiali deformanti della faziosità e della passione di parte.