Daria Bignardi scrive sul suo blog delle emozioni provate dopo aver letto l’ultimo romanzo di Alberto Ongaro, “La maschera di Antenore”. Come tutti quelli che amano i libri dello scrittore del Nord-est, anche la conduttrice televisiva si pone una domanda: si può davvero vivere di avventura e amore? Forse la risposta è negativa, ma leggere uno romanzo di Ongaro fa davvero immergere in un senso di nostalgia per un’illusione che, quando si cresce, svanisce nel corso degli anni:
Leggere il nuovo libro di Ongaro (e l’ultimo di Sgorlon) per credere
Un villaggio sotto la neve. Era la copertina del Trono di legno di Carlo Sgorlon, e io avrò avuto quindici anni, ma certi libri non si scordano mai. Carlo Sgorlon se ne è andato il giorno di Natale, come in un romanzo dei suoi.
L’ho saputo che avevo appena finito di leggere La maschera di Antenore, l’ultimo libro di un altro grande vecchio del Nord-Est, ancora più misterioso e meno celebrato di Sgorlon e completamente diverso da lui: Alberto Ongaro. Sono rimasta immersa a lungo nell’atmosfera della Maschera di Antenore, un po’ stordita, come se avessi visto uno di quei film degli anni Settanta con le protagoniste bellissime e un po’ ninfomani e pazze vestite Givenchy o Capucci che si aggirano per Parigi chiacchierando e fumando in compagnia di uomini coltissimi e affascinanti.
Leggere La maschera di Antenore, oltre al divertimento, mi ha fatto provare invidia: per la vita che si intuisce deve aver fatto da giovane l’autore, che mi immagino somigliare un po’ a tutti i suoi personaggi e racconta di un’epoca dove si poteva vivere solo di arte, bellezza e amore. Direi che siamo tra gli anni Cinquanta e Settanta, anche se il romanzo non è datato: il protagonista è un pittore che vive tra Venezia e Parigi e sta per diventare famoso quando si imbatte in un raffinato e celebrato critico d’arte che lo coinvolge in una sua vendetta maligna e tenta di rovinarlo. Amori misteriosi, quadri sofisticati, modelle d’arte carine e disinibite, caratteri contemporanei, liberi, intelligenti, conversazioni brillanti, la bellezza di Venezia e Parigi… Ongaro mi ha fatto venire in mente quando da ragazzina avevo scoperto Hemingway e volevo ubriacarmi di vino bianco gelato e tauromachia e vivere in una fiesta mobile come i suoi personaggi. Mi ha fatto provare la nostalgia di qualcosa che non so nemmeno più cosa sia: l’illusione di poter vivere di avventura e di amore? La speranza di un futuro di bellezza? La speranza di un futuro tout court?
Ho raccontato il romanzo di Ongaro a una mia giovane amica, cresciuta a telefilm e sigle di cartoni animati di Italia 1. Ha provato anche lei la stessa nostalgia. Vuol dire che la speranza di amore, avventura, arte e bellezza, anche se sembrano entità scomparse dal nostro quotidiano invaso da particelle gonfie di nulla che stordiscono e disorientano e sfiniscono, è una speranza e una nostalgia che abbiamo dentro tutti. Per fortuna che ci sono i libri, la musica e i film, quelli belli, a ricordarcelo.