ROMA – Marilyn Monroe fu uccisa con un’iniezione di pentobarbital dal suo psichiatra Ralph Greenson, il mandante fu Bob Kennedy: è la tesi del libro “L’assassinio di Marilyn Monroe: caso chiuso” (The Murder of Marilyn Monroe: case closed) di Jay Margolis e Richard Buskin del New York Times, in uscita il prossimo 3 giugno, pubblicato da Skyhorse. Una ricostruzione che senza girarci intorno smentisce la versione ufficiale del suicidio tramite overdose di barbiturici, puntando l’indice contro quelli che per Margolis e Buskin sono i colpevoli.
Fu l’intimità con John e Bob Kennedy, e quindi con i segreti del “clan” degli irlandesi a causare, secondo Margolis e Buskin, la morte dell’attrice all’alba del 5 agosto del 1962, a soli 36 anni. All’epoca dei fatti i fratelli Kennedy erano potentissimi: JFK era presidente degli Stati Uniti e RFK era ministro della Giustizia.
Un’intimità che tutto il mondo scoprì 77 giorni prima della morte di Marilyn, il 19 maggio del 1962, quando al Madison Square Garden la diva cantò a un party per il 45° compleanno di John Kennedy “Happy Birthday mister President”, poche semplici parole sussurrate in un misto di sensualità e disperazione.
Disperazione perché da pochi mesi era diventata l’amante di JFK, poi anche del fratello Bob. Fu Peter Lawford, attore inglese e cognato dei Kennedy, a farla conoscere al presidente. Ma lei voleva sposarsi, mentre nessuno dei due pensava lontanamente di divorziare dalle rispettive mogli. “Se la passavano come una palla”, diceva Lawford. L’inizio della fine per Marilyn, secondo Margolis e Buskin, fu la sua minaccia, in un litigio con RFK, di rivelare i segreti della vita privata e politica dei Kennedy, che aveva annotato puntualmente in un piccolo taccuino rosso, poi “misteriosamente” scomparso dopo la sua morte.
Margolis e Buskin, da bravi autori di best seller, ricostruiscono la trama del delitto perfetto: Peter Lawford spiffera a Bob che l’attrice ha un altro amante. Si tratta del suo psichiatra, Ralph Greenson. Bob lo stana e lo ricatta: se la storia con la Monroe fosse venuta fuori, Greenson non avrebbe più potuto lavorare e avrebbe rischiato il carcere.
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Così il 4 agosto Bob Kennedy con le sue guardie del corpo nella villa di Lawford, dove è ospite l’attrice. Le ordina di consegnare il taccuino rosso dove aveva annotato i segreti dei Kennedy, ma Marilyn rifiuta. Bob le fa iniettare dei barbiturici, poi chiama Greenson per “completare il lavoro”. Ma la cameriera di Lawford scopre il corpo privo di sensi della Monroe e chiama l’ambulanza. Qui Margolis e Buskin raccolgono la testimonianza dell’infermiere James Hall, accorso sul posto: Hall racconta di essere riuscito a rianimarla, finché nel frattempo non arrivò Greenson che le iniettò al cuore la dose letale di pentobarbital. Alle 4:25 del 5 agosto è lo stesso Greenson a chiamare la polizia di Los Angeles riferendo di aver trovato l’attrice morta.
Non è la prima volta che si parla di assassinio a proposito del caso Monroe. Solo che le precedenti ricostruzioni lo avevano attribuito all’Fbi, alla Cia o alla mafia. Il motivo era sempre di proteggere i segreti dei Kennedy e togliere dalle mani della diva quel pericoloso taccuino rosso. Mai però qualcuno aveva messo così apertamente i Kennedy sul banco degli imputati.