
ROMA – ”Un iniziale shock, un vero terrore ma poi Lisbeth Salander mi ha rapito, è un personaggio bellissimo al quale non ho saputo resistere”: David Lagercrantz alla prova dei fatti. Arriva in anteprima mondiale ‘Quello che non uccide’. Quarto volume di una trilogia, che già un po’ stona. E stona ancora di più perché chi quella trilogia l’ha scritta nel frattempo è morto.
A Lagercrantz, classe ’62, giornalista, autore di best seller (tra cui la biografia di Zlatan Ibrahimovic) è andata l’eredità ‘pesante’ di Millennium, la saga di Stieg Larsson che ha venduto 80 milioni di copie in 50 paesi e che ora l’editore svedese manda alle stampe nella data non casuale del 27 agosto ossia a 10 anni esatti dal primo libro Uomini che odiano le donne.
Lagercrantz ha raccontato a Stoccolma come si è lasciato convincere all’impresa difficilissima di non scontentare i lettori mondiali che aspettano il ritorno delle indagini del giornalista Mikael Blomkvist, direttore della testata Millennium, e della giovane hacker Lisbeth ricercatrice specializzata in pirateria informatica. Ma ha schivato ogni possibile indiscrezione sulla trama che resta segreta non essendo state mandate neppure le cosiddette copie staffetta ai critici letterari.
”I personaggi principali – ha rassicurato – ci saranno tutti. Anche Erika Berger, Jan Bublanski, Sonja Modig”. La Stampa di oggi 28 agosto pubblica in anteprima uno stralcio del libro che sarà:
VUOTA.
Era così che si sentiva. Lisbeth Salander non chiudeva quasi occhio da una settimana, e probabilmente aveva anche mangiato e bevuto poco o niente. Aveva mal di testa, gli occhi iniettati di sangue e le mani che le tremavano, e in quel momento non avrebbe voluto fare altro che scaraventare a terra tutta la sua attrezzatura. Ma in un certo senso era soddisfatta, anche se non per il motivo che credeva Plague o il resto della Hacker Republic. Era soddisfatta perché aveva scoperto qualcosa di nuovo sull’organizzazione criminale di cui cercava di ricostruire la struttura, trovando le prove di un legame che fino ad allora aveva soltanto intuito o sospettato. Ma lo teneva per sé, ed era stupita che gli altri potessero anche solo pensare che si fosse introdotta nei sistemi dell’Nsa per il puro gusto di farlo.
Non era un adolescente imbottito di ormoni che voleva mettersi in mostra né un’idiota in cerca di una botta di adrenalina. Se si lanciava in un’impresa del genere era perché voleva ottenere qualcosa di estremamente concreto, anche se era vero che una volta l’hackeraggio era stato qualcosa di più di uno strumento per lei. Nei momenti peggiori dell’infanzia e dell’adolescenza il computer era stato il modo di fuggire e di sentirsi meno prigioniera nella sua vita. Grazie all’informatica aveva potuto abbattere i muri e le barriere che le venivano eretti davanti e godersi qualche attimo di libertà, e sicuramente qualche traccia di tutto ciò le era rimasto dentro.
Ma la cosa più importante era la caccia, quella che aveva iniziato una mattina all’alba, quando si era svegliata con il sogno di una mano che batteva ritmicamente sul materasso in Lundagatan. Non si poteva certo dire che fosse semplice. I suoi avversari si nascondevano dietro una cortina di fumo, e forse era per quel motivo che negli ultimi tempi era particolarmente insopportabile e di cattivo umore. Sembrava quasi emanare un’oscurità nuova, e a parte un pugile grande, grosso e chiacchierone di nome Obinze e due o tre amanti di entrambi i sessi, non frequentava praticamente nessuno. Aveva l’aria più da attaccabrighe che mai, con i capelli ispidi e lo sguardo cupo, e malgrado ci avesse provato non era migliorata granché in quanto a frasi di cortesia: o diceva quel che pensava o se ne stava zitta.
