ROMA – Dal dopoguerra fino agli anni ’70 il pensiero di Antonio Gramsci si è fatto voce e orgoglio della sinistra ed è diventato vanto di un’egemonia culturale. Il percorso che ha fatto per diventare carta d’identità di una classe politica è ricostruito in un libro di Francesca Chiarotto dal titolo “Operazione Gramsci” recensito dal Fatto quotidiano.
Operazione Gramsci è quella che misero in pratica Palmiro Togliatti e il Pci: quella di portare le idee del sardo nella cultura del nostro Paese e a vari livelli, spostandola dalla dimensione meramente intellettuale.
Un concetto interessante sottolineato nel libro di Chiarotto è proprio la necessità di una base culturale solida come ossatura di ogni lotta politica. Secondo Chiarotto, «Togliatti, in un difficile squilibrio tra sforzo di autonomia rispetto alle direttive staliniane e la fedeltà all’Unione sovietica, usò con intelligenza e spregiudicatezza la figura e l’opera di Gramsci per confermare, accanto all’identità comunista, la natura nazionale di un partito in via di profonda riorganizzazione… l’opera gramsciana fu utilizzata quale mezzo per avviare un dialogo con la società italiana».
Il partito si adoperò per rendere accessibili gli scritti di Gramsci, raggruppandoli per temi: «Si riscontra soprattutto, in questi dibattiti, la volontà di rendere fruibile al maggior numero di lettori il pensiero gramsciano, prima e più che la preoccupazione di adeguarsi alle direttive staliniane o a timori di scomuniche ovvero a ragionamenti di opportunismo politico», scrive Chiarotto.
Quello che fece dunque la sinistra di Togliatti probabilmente è ciò che non è capace di fare la sinistra di oggi, mantenendo quello smalto e quello splendore culturale di cui si vanta ma che oramai appartiene solo al passato.