LONDRA – C’è stato un periodo in cui Marica Merico, oggi pentita di ‘ndrangheta, nascondeva milioni di lire in contanti nella lingerie per pagare i fornitori marocchini di droga; in cui amministrava i profitti del narcotraffico investendo miliardi in banche estere; in cui gestiva il traffico di cocaina ed eroina che dalla Colombia arrivava a Gioia Tauro e da qui dritta sulla piazza di Milano. Un “lavoro” quello di Marisa iniziato sin da bambina, essendo figlia del boss Emilio Di Giovane, e finita dopo il pentimento avvenuto in Inghilterra, dove lei si è trasferita e dove venne arrestata nel 1994. La sua storia è diventata un libro, “scriverlo è stata una liberazione”, e a breve anche un film visto che una casa di produzione ha comprato i diritti.
Marisa Merico dice di continuare a ragionare da mafiosa, sebbene abbia rinnegato quel passato e nonostante su di lei penda una richiesta di estradizione dall’Italia per un residuo di pena.
“Sono nata in una ‘ndrina, il 19 febbraio 1970”, ricorda. Il parto avvenne infatti sul tavolo della cucina di un appartamento a Milano usato come base dagli affiliati. Che da bravi ‘ndranghetisti facevano il loro dovere: armi, eroina, omicidi, vendette. La nonna che nascondeva la droga dietro le piastrelle della cucina; la zia che tagliava l’eroina in casa; il papà che portava lei bambina in macchina per “coprire” i viaggi di contrabbando di sigarette tra Milano e la Svizzera (“Gli agenti di frontiera vedevano una bambina e non ci fermavano”). Questa è una carrellata dei ricordi di infanzia e giovinezza di Marisa.
Poi si è trasferita in Inghilterra, a Blackpool, insieme ai due figli e alla madre, che è inglese. Marisa non fa bilanci, né cerca giustificazioni tardive: quello che descrive è un romanzo criminale dal vero. La vita di una “principessa della ‘ndrangheta”, da “intoccabile”, come il titolo dell’autobiografia appena pubblicata da Sperling & Kupfer. Ma cosa si muove nella ‘ndrangheta ancora lo sa: “Gli ordini partono ancora dalla Calabria ma il centro è Milano. La ‘ndrangheta ha posato gli occhi sugli investimenti per l’Expo 2015. Non c’è da chiedersi se questo denaro finirà nelle sue casse, ma solo quanto ne resterà fuori”.