Renato Serra (1884-1915), giovane e sfortunato letterato, mentre l’Italia stava per entrare in quell’immane conflitto che avrebbe cambiato il suo volto insieme con quello dell’Europa, scriveva: “La guerra è un fatto come tanti altri in questo mondo; è enorme, ma è quello solo; accanto agli altri, che sono stati e che saranno: non vi aggiunge; non vi toglie nulla. Non cambia nulla, assolutamente nulla, nel mondo. Neanche la letteratura”. Queste parole, che ancora ci scuotono per il coraggio che le dettava, aprono l’Esame di coscienza di un letterato, il testamento spirituale di Serra scritto tra il 20 ed il 25 marzo del 1915. Il giovane scrittore, interventista e volontario, ma senza grande convinzione, avrebbe di lì a poco conosciuto tragicamente il senso di quella sua premonizione. Infatti, il 20 luglio, sul monte Podgora, alla vigilia della presa di Gorizia, cadde raggiunto da una pallottola nemica in pieno volto. Era nato a Cesena soltanto trent’anni prima.
Per quanto giovane – collaboratore della “Voce” di Giuseppe Prezzolini (ma diretta da Giuseppe De Robertis che fu il suo mentore) apprezzato da Giovanni Papini e da Benedetto Croce con il quale stabilì un buon rapporto – i suoi scritti non lasciarono indifferente il mondo intellettuale del tempo.
Nel 1910 pubblicò su “La Romagna” un saggio, che può considerarsi il suo esordio nel mondo delle lettere, dedicato ad Alfredo Panzini, che gli guadagnò l’attenzione della critica, oltre all’amicizia dello scrittore.
L’Europa cominciava a sussultare. Fermenti rivoluzionari, nazionalisti ed irredentisti ne minavano la stabilità. La guerra s’avvicinava a grandi passi. Il giovane Serra non fu insensibile al richiamo delle ragioni dell’intervento italiano per quanto scettico sulle auspicate positive conseguenze che dall’impegno sarebbero discese. Ed allora volle metterlo per iscritto, dopo aver divulgato attraverso lettere private il suo pensiero al riguardo, con l’Esame di coscienza di un letterato che rappresenta la sua opera più riuscita, da molti ritenuta uno dei capolavori del Novecento, appena riproposta da Historica edizioni nella collana “La biblioteca ritrovata”.
Richiamato alle armi il 1º aprile, Serra giunse al fronte il 5 luglio, ancora sofferente per i postumi di un grave incidente automobilistico occorsogli il 16 maggio. Come tenente dell’undicesimo Reggimento di Fanteria della Brigata “Casale”, combatté col proprio reparto nel settore del Podgora, presso Gorizia, partecipando alla Seconda e alla Terza battaglia dell’Isonzo. Quest’ultima gli fu fatale.
Nel suo Diario di guerra, leggiamo questi rapsodici appunti: “Dormo fino alle 8 – Alle 9 riprende il bombardamento – Notizie dal Carso – Disposizioni – 12 plotoni della guardia pronti per un bisogno. I primi feri- ti – Raggi – Notizie di soldati – sotto la tettoia del Comando – Raffica di shrapnel che sfiorano il campo – A vedere l’azione, con Genta, poi alle batterie – La mensa – Altri feriti (E i morti) – I prigionieri: prima 3 – Il caporale preso per ufficiale: notizie – Passaggio di 305 – Riposo. L’azione che procede: a vedere: i nostri che avanzano. Notizie. Al Comando: Tassinari (il vol.): italiani eroici – sui 4 prigionieri– La 2a e la 3a sfilano per posizione – Toccherebbe a noi dopo – Il povero Combi – Stelluri e gli altri, feriti e feriti – La trincea rioccupata e perduta: le bombe – Genta mi porta la notizia – Scoramento – Da ricominciare – Che cosa resterà da fare a me? Esame di coscienza; triste – Si fa sera, tra le nuvole e la luna fresca”.
Furono le sue ultime parole vergate due giorni prima del colpo fatale che gli tolse la vita, il 18 luglio. Gli rimasero “le nuvole e la luna fresca”. Si potrebbe dire che alla fine del suo “esame di coscienza” non vedeva altro. Ma questa è una illazione postuma.
C’era un’etica in quel che Serra sentiva ed intendeva trasmettere. Un’etica complessa, come può esserlo uno stato d’animo. Da un lato la cosciente brutalità della guerra “necessaria” che comunque nulla cambia; dall’altro la vitalità perenne della letteratura che resiste a qualsivoglia catastrofe. Nel mezzo l’uomo “prodotto” di civiltà che la barbarie della strage programmata non riesce a scalfire: e questo da sempre. Così, di fronte al colossale bagno di sangue che si prepara, un giovane intellettuale si pone con le sue certezze accettando fatalisticamente l’ “inutile strage” – che vede arrivare, suo malgrado, “tra le nuvole e la luna fresca” – ma senza conferirle importanza alcuna sulla vagheggiata, da molti, mutazione dei destini umani. La guerra, insomma, per Serra è “solo” la guerra. Un fatto, dunque. Niente di più.
Avremmo capito dopo che l’illusione di Serra non avrebbe retto al confronto con la storia, ma ciò nulla toglie al suo intento nobile di restituire “intangibilità” alle manifestazioni dello spirito, come la letteratura appunto.
L’Esame è, con tutta evidenza, uno scritto autobiografico, sia pure “interiore”, nel quale l’autore mostra stati d’animo differenti se non contrastanti, dal proposito di impegnarsi secondo i dettami del suo nazionalismo “primario” maturato in famiglia, alla voglia, tutt’altro che riservata, di isolarsi dal mondo per coltivare un sogno di bellezza, autentica vocazione della letteratura, almeno di quella di un tempo. Ed è per questo che le ragioni letterarie sembrano prevalere su quelle belliciste. Ma poi viene fuori un sentimento diverso che lo accomuna a tanti intellettuali impegnati sul campo di battaglia: il bisogno, per certi versi inspiegabile, di sentirsi accomunato agli altri in difesa di una stessa causa e nel nome di una comune fratellanza. Continuare a fare letteratura prescindendo dalla guerra, fa intendere, è pura utopia. E la guerra non è una variante della letteratura quando le “tempeste d’acciaio” trasformano l’animo umano e dettano pensieri destinati a modificare la percezione della realtà? Interrogativo che gli esiti della Prima come della Seconda guerra mondiale non hanno risolto.
Comunque lo si legga, cento anni dopo, l’ Esame di coscienza di un letterato resta una testimonianza eloquente ed appassionata del tormento di un giovane scrittore che non ha avuto il tempo di comprendere come quella guerra avrebbe nel profondo cambiato il mondo poiché non era più la guerra tradizionale, bensì “guerra di materiali”, la guerra anonima per eccellenza, e per questo più crudele. Naturalmente perfino la letteratura ne sarebbe uscita “diversa”, come trasformata anche dal punto di vista stilistico.
RENATO SERRA, Esame di coscienza di un letterato, Historica edizioni, pp.61,€ 10,00