”Da quando ci hanno separati, vediamo il tempo passare, la vita riaffiora ogni quindici giorni per tre ore. Tre ore per cui vale la pena di vivere”. Lo scrive Olindo Romano parlando della moglie Rosa in una delle lettere indirizzate alla giornalista Cristiana Cimmino che la ha raccolte nel libro ‘Finché morte non ci separi’.
Pochi nella corrispondenza i riferimenti alla strage di Erba per la quale i due coniugi sono stati condannati in secondo grado all’ergastolo: ”Quella notte – dice Olindo – tante vite sono cambiate, la cosa peggiore è che dopo un mese ce ne hanno data un’altra in cambio, la nostra vita è rimasta lì, aspetta. Stiamo ripercorrendo all’inverso il percorso che ci ha portato sul fondo del barile”.
”A partire da quella notte – aggiunge in un’altra lettera – ci hanno perseguitati”. Ma non ci pensa spesso: ”Ricordo tanta gente, vigili del fuoco, carabinieri, Castagna seduto sulla macchina, i vicini di casa alcuni, verso le 2 di notte i carabinieri di Erba che prelevano dal cesto la biancheria, dalla lavatrice i panni. Poi ci portano in caserma, dove ci hanno trattenuti sino alle 16”. Difficile farsi un’idea di che avrebbe potuto compiere i quattro omicidi: ”Ce lo siamo chiesti, ma invano, troppa gente andava e veniva”. Il desiderio più grande di Olindo sarebbe quello di tornare insieme a Rosa, ”nel posto piu’ bello d’Italia, vorremmo solo tornare a casa nostra, chissà ”.
”Quando ero piccola mia madre non mi dava da mangiare e mi accontentavo del pane secco che nascondeva”. Rosa Bazzi soffre la fame in carcere, come da bambina: ”quando non no niente da mangiare – dice – mi viene questo in mente e piango adesso, come da piccola” quando ”se chiedevo qualcosa erano botte”; ”si arrabbiava sempre con me”, ricorda parlando della madre, ”e mi spaccava la ossa”.
Nella lettera Rosa racconta anche di 300 euro arrivati da uno sconosciuto, che non poteva tenere: meglio darli a Olindo, ”perche’ lui ci deve comprare le sigarette”. Vorrebbe comprare qualcosa da mangiare ma non vuole chiedere soldi a nessuno cosi’ ”mi arrangio – dice – con il carrello, che fa proprio schifo”. Per questo chiede aiuto alla Caritas: abiti e cibo per se’ e per Olindo perche’ in carcere ”no abbiamo il riscaldamento, fa troppo freddo”. Rosa in una delle prime lettere chiede anche di essere spostata da Vercelli nel carcere di Bollate: ”Qui – dice – siamo ad un mondo a parte”, ”se lo vedi cambi il colore dei capelli, è orribile: se vedi la mia cella siamo in tre persone”, e una di loro è ”molto cattiva dentro e fuori”. Molte delle lettere di Rosa – spiega l’autrice del libro – probabilmente sono state dettate alle detenute compagne di cella (infatti Rosa né a Vercelli, né nel carcere di Bollate si trovava in isolamento, al contrario di Olindo, in cella da solo), particolare che sembra confermato dall’uso di un italiano stentato, come se a scrivere fosse una persona che non conosce bene l’italiano.