ROMA – Esce nelle librerie “Riina. Family Life”, il libro scritto dal figlio di Totò Riina, Giuseppe Salvatore, e pubblicato da edizioni Anordest. Giuseppe Salvatore, detto Salvo, 39 anni a maggio, è stato condannato per associazione mafiosa a 8 anni e 10 mesi e ha interamente scontato la sua pena.
Il boss dei boss di Cosa Nostra viene raccontato dal figlio, Giuseppe Salvatore Riina, in un colloquio con il Corriere della Sera. Salvo ricorda un giorno molto importante nella storia d’Italia, quel 23 maggio della strage di Capaci che aveva come mandante proprio Totò Riina. “La tv era accesa su Rai1, e il telegiornale in edizione straordinaria già andava avanti da un’ora. Non facemmo domande, ma ci limitammo a guardare nello schermo. Il viso di Giovanni Falcone veniva riproposto ogni minuto, alternato alle immagini rivoltanti di un’autostrada aperta in due… Un cratere fumante, pieno di rottami e di poliziotti indaffarati nelle ricerche… Pure mio padre Totò era a casa. Stava seduto nella sua poltrona davanti al televisore. Anche lui in silenzio. Non diceva una parola, ma non era agitato o particolarmente incuriosito da quelle immagini. Sul volto qualche ruga, appena accigliato, ascoltava pensando ad altro”.
Pochi mesi dopo, il 19 luglio, una sorte analoga toccava a Paolo Borsellino, ucciso a Via D’Amelio. La famiglia Riina era in vacanza al mare: “Fu uno di quei giorni in cui mio padre preferì rimanere a casa ad aspettarci, sempre circondato dai suoi giornali che leggeva lentamente ma con attenzione. Negli ultimi mesi era diventato più attento nelle uscite in pubblico, anche se dentro casa era sempre il solito uomo sorridente e disposto al gioco”. Al ritorno dalla spiaggia ancora la tv accesa, ancora immagini di morte, fuoco e fiamme: “Il magistrato Paolo Borsellino appariva in un riquadro a fianco, ripreso in una foto di poche settimane prima… Lucia, dodicenne, era la più colpita da quelle immagini. Si avvicinò a mio padre silenzioso. “Papà, dobbiamo ripartire?”. “Perché vuoi partire?” domandò lui, finalmente rompendo la tensione con la quale fissava il televisore. “Non lo so. Dobbiamo tornare a Palermo?”. “Voi pensate a godervi le vacanze. Restiamo al mare ancora per un po’”. Lucia scoppiò in una ingenua risata e lo abbracciò… E così restammo lì fino alla fine di agosto”.
Giuseppe Salvatore non parla delle tante vittime decise dal capo dei corleonesi che ha governato Cosa Nostra a suon di omicidi. “Io non sono il magistrato di mio padre; non è competenza mia dire se è stato il capo della mafia oppure no. Lo stabiliscono le sentenze, io ho voluto parlare d’altro: la vita di una famiglia che è stata felice fino al giorno del suo arresto, raccontata come nessuno l’ha mai vista e conosciuta”. Nel libro Salvo lamenta che “è dal gennaio del 1993 che non faccio una carezza a mio padre, e così le mie sorelle e mia madre”.
Nel libro viene fuori un’immagine di papà premuroso e amorevole che contrasta con la realtà giudiziaria e storica del boss protagonista delle più cruente trame criminali. “Non è quello che ho conosciuto io — ribatte convinto suo figlio —. Io sono orgoglioso di Totò Riina come uomo, non come capo della mafia. Io di mafia non parlo, se lei mi chiede che cosa ne penso non le rispondo. Io rispetto mio padre perché non mi ha fatto mai mancare niente, principalmente l’amore. Il resto l’hanno scritto i giudici, e io non me ne occupo”.