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“Umberto I, Il Re buono”, il secondo sovrano d’Italia, a cura di Pezzoni Mauri e Salvatore Sfrecola

  “Umberto I, Il Re buono”, a cura di Edoardo Pezzoni Mauri e Salvatore Sfrecola con prefazione di Maria Pia di Savoia, primogenita del re Umberto II, si sarebbe potuto intitolare “l’Italia al tempo di Umberto I”, il Re ucciso il 29 luglio 1900 dall’anarchico Gaetano Bresci: tre o forse quattro i colpi di pistola che, come scrive Sacchi, “posero la parola fine alla bella favola risorgimentale che era stata il motivo conduttore della vita del Re Umberto I”. QUi una sintesi della presentazione di Gianni Torre per il blog Un sogno italiano.

Secondo in ordine di successione, dopo il padre Vittorio Emanuele, Umberto fu effettivamente il primo Re d’Italia, nel senso che la trovò unita e visse stabilmente a Roma, dove la consorte, la Regina Margherita, con la sua spiccata personalità, divenne presto molto popolare, per le sue opere di carità e perché raccolse attorno a sé personalità della cultura provenienti da tutto il Regno, in tal modo costituendo, accanto alla Corte tradizionale, un ristretto salotto intellettuale (quasi un “Circolo della Regina”), di cui scrivono Rossella Pace ed Edoardo Pezzoni Mauri (“Il mito della Regina!), frequentato assiduamente da artisti, letterati, filosofi e politici, da Marco Minghetti a Terenzio Mamiani, al Premio Nobel per la poesia Giosuè Carducci. 

È l’Italia che, finalmente unita, anche se mancano ancora Trento e Trieste, ha l’ambizione di diventare “un grande Stato”, come aveva auspicato Cavour all’atto della costituzione del Regno, e intraprende la strada delle riforme amministrative, economiche e sociali con le quali il Paese, fra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, sarà all’avanguardia in Europa. Basta ricordare il Codice Zanardelli del 1889 che abolisce la pena di morte che rimarrà, invece, nella legislazione di molti paesi europei fino al ventesimo secolo, una riforma sulla quale ha scritto pagine di straordinario interesse il Professor Nicola Pisani.

Umberto, partecipe dei momenti gioiosi e luttuosi della Nazione, “aveva consolidato, come scrive Sacchi nell’Introduzione, l’immagine di Casa Savoia nell’affetto degli italiani”. È il soldato coraggioso, l’eroe della Terza Guerra d’Indipendenza, che si distingue durante la disastrosa battaglia di Custoza, che ebbe luogo il 24 giugno del 1866, che resiste alla carica della cavalleria austriaca avendo formato un quadrato con il IV battaglione del 49° reggimento di Fanteria, un episodio immortalato dal noto dipinto, “Il Quadrato di Villafranca”, realizzato da Raffaele Pontremoli. Ma è anche generoso e caritatevole: “a Pordenone si fa festa, a Napoli si muore. Vado a Napoli”, una frase che effettivamente pronuncio allorché, mentre si accingeva a partire per un ricevimento che si sarebbe tenuto nella città friulana, informato dello scoppio del colera nell’ex capitale del Regno delle Due Sicilie, preferii accorrere tra la popolazione sofferente.

Apre il volume un bel capitolo, “Umberto I tra Liberalismo, “National building” e Mediterraneo”, di Guglielmo de’ Giovanni Centelles.. È una ricostruzione originale, molto interessante, quella del professor de’ Giovanni. Le pagine del suo capitolo scorrono veloci tra “le vere intenzioni, le vere speranze e anche le illusioni” dell’impresa umbertina in Africa, che si conclude con le sfortunate operazioni a Dogali e ad Adua.

Il “Nation building”, il consolidamento dell’unità italiana, fu il grande compito del Regno di Umberto I. “Aveva come cardine in politica estera la riaffermazione della proiezione mediterranea verso la sponda africana che necessariamente si scontrava con i consolidati interessi di Francia e Inghilterra”.

Il capitolo curato da Andrea Ungari imposta il lavoro su Umberto I e la Triplice Alleanza iniziando dai poteri della Monarchia nell’Italia liberale, una tematica, quella del Re che regna e non governa, che tocca i temi dell’attuale dibattito sulle riforme istituzionali che hanno prima proposto una repubblica presidenziale e poi il “premierato”, sul quale si sofferma Salvatore Sfrecola che segnala quanto ebbe a scriverne Vittorio Emanuele Orlando, fortemente contrario al Governo onnipotente quale si era consolidato in Germania e come sarà delineato dall’autoritarismo fascista.

Molto interessante il capitolo curato da Elena Manzo, che si sofferma sul risanamento di Napoli, la sanificazione, le bonifiche ma anche sugli sventramenti e sulle pianificazioni urbanistiche nell’Italia umbertina. re di risanamento igienico dei piccoli comuni.

A Gustavo Mola di Nomaglio, storico, Vicepresidente del Centro Studi Piemontesi, si deve il capitolo sul filo rosso anarco-comunista tra cronaca giornalistica e storia, sui tentativi insurrezionali italiani nel 1898 e sull’assassinio di Re Umberto. L’A. smentisce una “dolorosa e pervasiva vulgata” la quale vorrebbe che il Re sia stato ucciso dall’anarchico Gaetano Bresci perché responsabile della sanguinosa repressione dei moti di Milano del 1898, una vulgata – spiega – “creata, consolidata e abilmente diffusa e trasmessa dagli storici, storiografi e giornalisti sia di matrice marxista (pressoché monopolisti e diuturni guardiani della presunta “verità storica”) sia da loro più ingenui emuli”.

Sulla base di testimonianze e di cronache l’A. è del parere che a Milano si stesse consumando un vero tentativo rivoluzionario, “un’anticipazione se si vuole, della rivoluzione che era destinata a conoscere la Russia con la instaurazione del primo tra i regimi comunisti del mondo”, e si chiede quali rischi il Paese avrebbe corso “se i diffusi fermenti concretamente insurrezionali avessero avuto la meglio sulle forze che li contenevano”.

A Nicola Neri, si deve un capitolo sulla politica coloniale del Regno d’Italia e la parabola coloniale: “dai primi successi commerciali alle vittorie militari contro l’Impero sudanese, fino alla battuta d’arresto di Adua tutto si consuma durante il suo Regno”. Il tema naturalmente è quello della politica mediterranea e della necessità di aprire e mantenere aperte le rotte sul mare, soprattutto dopo l’apertura del canale di Suez del 1869, per cui l’Italia si sforzò di consolidare e di ampliare i possedimenti sul Mar Rosso, una scelta che inevitabilmente mise in contrasto l’Italia con i mahdisti sudanesi e con i regoli dell’Abissinia. 

Viene ricordato il noto episodio del duello tra il Principe Henry d’Orléans, pretendente al trono di Francia, ed il Principe Vittorio Emanuele di Savoia Aosta, Conte di Torino, uno scontro terminato con gravi ferite per il principe francese. L’occasione era stata la difesa da parte del principe sabaudo, dell’onore del soldato italiano offeso dal francese in un articolo per il parigino Le Figaro nel quale aveva denigrato il comportamento degli italiani impegnati nella battaglia di Adua.

Importante contributo si rinviene nel capitolo di Nicola Pisani, Ordinario di diritto penale nell’Università degli studi di Teramo, che tratta un argomento costantemente richiamato nella esaltazione delle riforme liberali del Regno di Umberto I, il Codice penale Zanardelli, una grande riforma che parte dal trentennio fra il 1860 e il 1889 che fu caratterizzato dall’impegno per l’unificazione della legislazione penale toscana con quella vigente nelle altre regioni d’Italia per la creazione di un unico Codice penale per tutto il Regno.

Il codice, che abolisce la pena di morte, dette luogo a un grande dibattito politico e scientifico ed a vari tentativi nel tempo di una codificazione unitaria in materia penale compiuti dal Ministro Vincenzo Maria Miglietti e da Pasquale Stanislao Mancini. La riforma però è quella del Ministro Giuseppe Zanardelli, presentata nel 1883 alla Camera dei deputati dall’allora Ministro della Giustizia Bernardino Giannuzzi Savelli. Il Codice, promulgato dal Re Umberto il 30 giugno 1889 entrò in vigore il 1° gennaio 1890. 

Il capitolo conclusivo si deve a Salvatore Sfrecola, Avvocato cassazionista, già Presidente di sezione della Corte dei conti, il quale richiama l’attualità del pensiero di Vittorio Emanuele Orlando, politico e giurista di straordinario interesse che nella sua lunga vita (1860 – 1952), ha operato durante il Regno di Umberto I, occupandosi precipuamente della legge elettorale, per poi collaborare  con Re Vittorio Emanuele III quale Ministro dell’Interno e della giustizia e Presidente del Consiglio, il “Presidente della Vittoria”, come fu chiamato, perché in carica a conclusione della Prima Guerra Mondiale. Liberale a tutto tondo, Orlando si oppone al regime fascista, si dimette da parlamentare dopo il discorso di Mussolini del 3 gennaio 1924 a proposito del delitto Matteotti, ritenendo che quell’intervento preannunci l’avvio di una svolta autoritaria, e non giura fedeltà al fascismo come imposto anche ai professori universitari.

Orlando, ricorda Sfrecola, è il fondatore della Scuola italiana del diritto pubblico e su questo l’A. si sofferma molto richiamando gli studi, di grandissima attualità per l’impronta liberale che li contraddistingue. Orlando era un grande estimatore del sistema costituzionale inglese e della sua legge elettorale, contrario al “premierato” di cui si parla molto oggi che osserva alle prime mosse del governo Mussolini e intuisce che, nella volontà autoritaria del Duce e del fascismo, ci sarebbe stata un significativo contenimento dei poteri del Sovrano. Soprattutto c’è quella mancanza di libertà civile che invece lui, liberale, amava moltissimo e alla quale ha dedicato tutta la sua vita. Orlando, in uno dei suoi ultimi discorsi, ricorda di essere un homo parlamentaris, un uomo del Parlamento.

Sfrecola ricorda che Orlando ebbe un ruolo importante anche nella fase conclusiva della Seconda Guerra Mondiale, perché, avvicinato da ambienti vicini alla Corona, fu messo a parte dell’intenzione del Re Vittorio Emanuele III di consegnare alla storia il Governo Mussolini, responsabile di una guerra alla quale l’Italia non aveva alcun interesse di partecipare. Orlando fu autore del celebre messaggio di Badoglio (“la guerra continua”) dopo la caduta di Benito Mussolini il 25 luglio 1943.

  “Umberto I, Il Re buono” (Historica, Roma, 2024, pp. 211, € 18,00), a cura di Edoardo Pezzoni Mauri e Salvatore Sfrecola.
 
 

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Marco Benedetto