L’amore è un filo blu, ultimo dono lasciato da una madre coraggiosa in eredità alla figlia neonata che non avrebbe visto crescere, cucito nei lobi delle orecchie. È il filo cui aggrapparsi per ricostruire una storia privata che diventa occasione di memoria collettiva su uno dei tanti drammi del XX secolo: quello dei desaparecidos argentini. Victoria Donda, la più giovane deputata mai entrata nel Parlamento di Buenos Aires, è partita da quel sottile filamento blu per scoprire la propria vera identità e quella del suo paese nel libro “Il mio nome è Victoria”.
Dal pozzo profondo del dramma dei desaparecidos, le almeno 30mila persone che furono arrestate per motivi politici dalla polizia del regime militare e delle quali si persero le tracce tra il 1976 e il 1983 (un passato ancora troppo vicino per non macchiare l’anima dell’Argentina), appare il volto sorridente di Victoria.
Victoria è nata, anzi rinata, a 27 anni, nel 2005. Quando ha scoperto che il suo nome, Analìa, non era quello che le aveva dato sua madre il giorno dell’estate del 1977 in cui la partorì dentro la famigerata Esma, il campo di concentramento di Buenos Aires. Quando ha scoperto che quello che fino a 27 anni era stato “suo padre Raul” in realtà era un militare, complice diretto della immonda carneficina di esseri umani, che l’aveva adottata in casa quando lei aveva solo 15 giorni.
Quando ha scoperto, grazie al lavoro paziente delle Nonne di Piazza de Mayo, che sua madre Cori – arrestata quando era incinta di cinque mesi -, dopo averla data alla luce, era stata anestetizzata con una dose di Pentotal, portata sui famigerati “voli della morte” e gettata ancora viva nel Rio de la Plata. Quando ha scoperto che il suo vero padre José Marià Donda era stato giustiziato subito dopo l’arresto. Quando ha scoperto che tutto questo era successo per mano e sotto la diretta supervisione di suo zio, il fratello di suo padre, il famigerato Adolfo Donda, un militare pezzo grosso nel Groupos de tareas che gestiva gli arrestati dentro l’Esma. Lui aveva permesso, anzi autorizzato, che il fratello e la cognata fossero uccisi perché oppositori politici. E che quella bambina appena nata fosse affidata in regalo ad amici del regime che l’avevano ribattezzata “Analìa” attribuendogli una data di nascita fittizia.
Un destino comune a centinaia di figli di desaparecidos, tutti nati durante la detenzione delle proprie madri nei centri di tortura disseminati in Argentina. Victoria Donda oggi è la prima e più giovane parlamentare argentina figlia di desaparecidos. E’ riuscita a rinascere due volte.
Victoria Donda, la “nipote numero 78” – come l’ha identificata l’associazione delle Nonne di Piazza de Mayo – ha subìto il destino sconvolgente di cambiare identità, di sapere quello che non avrebbe mai immaginato, cosciente in prima persona del male che ha colpito lei insieme a migliaia di altri giovani della sua generazione. Una cosa è intanto riuscita a fare: recuperare il suo nome, Victoria, quello che sua madre le aveva dato.
La sua storia oggi è un libro, “Il mio nome è Victoria” (appena pubblicato in Italia per i tipi del Corbaccio, 250 pagine, 17 euro). Un libro emozionante e scioccante. Una testimonianza di un lacerante viaggio umano che cerca di gettare una luce in un dramma recente, non solo argentino.