ROMA – Falsi profili su Facebook: se molesti la Cassazione condanna. Creare un falso account su Facebook e molestare qualcuno nascondendosi dietro l’anonimato, non protegge l’autore dall’essere sanzionato anche se il Codice penale non prevede il reato specifico di divieto di “fake” (il falso profilo), ha stabilito la Corte di Cassazione. Scagliare un sasso digitale può procurare danni, nascondere la mano non esime dalla colpa anche se il codice penale non prevede il reato. La Corte di Cassazione, con la sentenza del 26 febbraio n. 9391/2014, ha confermato la condanna espressa in secondo grado nei confronti di una donna accusata di aver creato un falso account per molestare i vicini.
La notizia è importante perché segna un punto dirimente nella giurisprudenza nel web, per cui, a proposito di social network, “permette a tutti gli utenti di capire quando il comportamento tenuto, oltre ad essere socialmente riprovevole, è anche reato punibile” (Nadia Pascale, Blasting News). La sentenza della Cassazione non stabilisce che creare falsi account sia un reato (nonostante, secondo gli ultimi dati, un account su tre sia falso): tutt’al più resta una violazione degli impegni con lo stessa proprietà Facebook che può adire alle vie legali. Stabilisce però che le molestie restano tali anche se commesse per via telematica.
Per cui se non è reato creare falsi account, lo è molestare qualcuno procurandogli danni (anche perché chiunque, anche anonimo, è rintracciabile attraverso l’ID utente). In base alla sentenza della Suprema Corte il comportamento viola l’articolo 494 del codice penale che afferma:
Chiunque, al fine di procurare a sé o ad altri un vantaggio o di recare ad altri un danno, induce taluno in errore, sostituendo illegittimamente la propria all’altrui persona, o attribuendo a sé o ad altri un falso nome, o un falso stato, ovvero una qualità a cui la legge attribuisce effetti giuridici, è punito, se il fatto non costituisce un altro delitto contro la fede pubblica, con la reclusione fino ad un anno.