Il fatto che Berlinguer abbia detto: “Le forme di lotta vanno decise tutte assieme e con il sindacato” nella toglie alla affermazione , riferita testualmente da Fassino: “Noi staremo sempre politicamente e organizzativamente dalla parte dei lavoratori”, semplicemente subordina, secondo un elementare principio organizzativo, l’azione alla copertura da parte delle organizzazioni sindacali, cui aggiunge, al buio, quella del suo partito. Non capisco perché Fassino ne parli tanto. Tra l’altro l’ho visto, da solo, alcuni anni fa, e non ha minimamente menzionato la vicenda. Chissà quale ombra è riemersa dal passato a tormentargli la coscienza.
Tra l’altro devo dire che in quel momento specifico Berlinguer fece quel che doveva fare, l’errore, usando le sue parole, veniva da lontano, ma è facile pontificare ora. Chiunque al posto di Berlinguer, con un minimo senso di orgaizzazione e di partito avrebbe fatt0 lo stesso. Davvero non riesco a comprendere il rimuginare di Fassino.
Per un certo aspetto quel che dice Novelli, come la tesi di Fassino, mi fa un po’ montare la testa. Non mi sono mai visto come un gran personaggio, nel bene come nel male, sono sempre stato al mio posto, senza esibirmi troppo nella convinzione che ci sarà sempre un momento di declino e meno in alto sei salito meno male ti fai cadendo. In questo senso devo ringraziare sia Fassino sia Novelli.
Devo anche notare con delusione che dei comunisti all’antica come loro due ignorino Marx e il fatto che la storia è fatta dai movimenti tettonici dell’economia e della lotta di classe, non da un dispaccio di agenzia, preferendo invece tesi complottistiche più degne di Berlusconi, il quale peraltro sono convinto rappresenti l’ultima evoluzione dei metodi Cominform.
In fondo un po’ di cultura Cominform c’è anche nella tesi di Fassino, nell’idea che una frase riportata in modo non completo dall’Ansa, quella sola frase, possa avere determinato il corso degli eventi. Fassino dimentica che in quegli anni le simpatie dei giornalisti erano tutte per il suo partito, dimentica una mezza pagina della Stampa comprata nella campagna elettorale amministrativa del 1975 come pubblicità per chiedere il voto al Pci “per una città migliore”. C’erano decine di firme, molte di giornalisti della Stampa.
La Stampa non uscì, un giorno, mi pare del 1977 o 1978, perché Giorgio Fattori, il direttore che faticosamente riportò il giornale all’onor del mondo dopo la caotica gestione del carissimo Arrigo Levi, volle che fosse pubblicato, notizia a una colonna una, in cronaca di Torino, l’annuncio che avrebbe tenuto un comizio in città Giorgio Almirante, segretario del Msi, padre spirituale di quel suo erede politico Gianfranco Fini che oggi, in nome dell’odio per Berlusconi è diventato un faro di cultura, di civiltà e di morale per tanta parte dei giornali di sinistra. Sciopero per non fare uscire il giornale, ripeto, per non annunciare un comizio.
La moglie di Fassino era giornalista nella cronaca della Stampa e non si agiva certo come quinta colonna della Fiat. Ho ricordato in altro pezzettone i salti mortali per avere un rapporto informativo corretto con la cronaca della Stampa, diretta da una carissima persona che sulla scrivania teneva idealmente, non fisicamente, il ritratto di San Diego (Novelli, appunto). Alcuni anziani giornalisti o ex giornalisti della Stampa mi hanno fatto arrivare un messaggio di amarezza perché ho fatto di tutt’erba un fascio, riferendomi a quei tempi lontani e hanno ragione e chiedo loro scusa. Alla Stampa non c’erano solo quelli schierati senza remissione sulle posizioni estreme, non c’era solo che era entrato perché si era distinto a portare lo striscione al corteo del primo maggio, non c’era solo chi difese sul giornale di Lotta continua l’uccisione di Casalegno. C’era anche gente che dissentiva, quelli che oggi rientrerebbero nella grande schiera dei moderati, che all’epoca erano una sparuta minoranza che nelle assemblee, allora come oggi mancando il voto segreto e adeguati regolamenti, erano obiettivamente nell’impossibilità di dire parola.