Ho raccontato già di Sergio Devecchi, grande giornalista sindacale e grande uomo, sindacalista quando era pericoloso, irriverente al punto di scrivere un lungo articolo senza punteggiatura, riempiendo alcune righe di punti e virgole per poi dire al perplesso direttore Alberto Ronchey, il quale trovava sempre qualcosa da ridire sulla punteggiatura di Devecchi: “Mettitecela da solo”, e parlo di quarant’anni fa, quando i poteri di un direttore erano più assoluti di quelli dello stesso Padreterno.
Il clima all’Ansa non era diverso, anche se la correttezza e la completezza dell’informazione erano garantiti da autentici giganti del giornalismo come Sergio Lepri , Fausto Balzanetti, Bruno Caselli. Con loro c’era poco spazio per ingerenze e manipolazioni, da tutte le parti. Ma a garantire il partito di Fassino c’era un ampio schieramento di vecchi e nuovi fedi. Ricordo il misto di imbarazzo e ilarità con cui, nell’ufficetto di Balzanetti e Caselli, ascoltai da un noto democristiano una lezione sull’onestà, la grandezza e l’inesorabile vittoria “di noi comunisti”. Poiché la storia non è fatta né da un dispaccio dell’Ansa né da una subitanea quanto opportunistica conversione lo ritrovai, qualche anno dopo, un’altra volta pentito, schierato nel salone dell’ambasciata di Francia, a gonfiare il petto perché vi appuntassero più agevolmente una decorazione di serie b della Legion d’Onore: faceva il capo ufficio stampa di Andreotti.
Sul piano personale Novelli ha avuto nei miei confronti un atteggiamento ambivalente, bipartizan si potrebbe dire. Quando venne a Roma, da Carlo Caracciolo, a chiedere soldi per una sua iniziativa editoriale (voleva fare un settimanale di cronaca torinese) mi baciò con affetto, forse perché oltre a Caracciolo mi faceva da rosso angelo custode Mario Lenzi, il padre dei quotidiani locali dell’Espresso, tanto grande quanto ingiustamente dimenticato. Io mi entusiasmai subito, Caracciolo e Lenzi signorilmente e affabilmente ascoltarono, studiarono e non fecero nulla e fu una grande lezione di stile e di editoria.
Novelli baciandomi non sapeva che io ero al corrente di un altro episodio, di segno opposto, che risale al luglio del 1980, alcuni mesi prima della vertenza. Non ne ho mai parlato, per rispetto a Novelli e perché il passato è meglio stia sepolto. Ma forse l’esigenza di precisione determinata dalle affermazioni di questi giorni giustifica il rivangare.
Antefatto. L’estate del 1979 era stata caratterizzata da episodi di violenza sindacale, dilagata fuori delle fabbriche fino agli uffici del centro. Ricordo che il direttore commerciale della Fiat auto, un mitissimo signore di nome Zuppet, venne spennellato di bianco da un commando entrato nel suo ufficio. I commandos del sindacato si muovevano per la città agevolmente e rapidamente su alcuni tram dell’azienda minucipale al cui sequestro il legittimo proprietario pro tempore, cioè il sindaco di Torino Novelli, non aveva fatto alcuna obiezione.