A settembre ci fu l’uccisione dell’ing.Ghiglieno, martire innocente per un’etichetta sulla porta “logistica” che aveva tanto scaldato le menti dei terroristi. Come vissi quelle ore l’ho già riferito. In quei giorni ebbi occasione di sentire più volte da Umberto Agnelli, allora capo esecutivo della Fiat, persona straordinaria per visione, capacità strategica e coerenza quanto sfortunata nella sua relativamente breve vita, che non bisognava sottovaiutare l’effetto deformante sulle menti malate dei terroristi della violenza in fabbrica e fuori. Si tratta di concetti che oggi sono patrimonio diffuso nella sinistra, ma allora pochi altri avevano il coraggio non di esporli ma di pensarli soltanto.
Arriviamo a una conferenza stampa di Cesare Annibaldi, capo delle relazioni sindacali della Fiat, non ricordo bene se subito dopo la morte di Ghiglieno o dopo il licenziamento dei 61 operai. Era un pomeriggio d’autunno, che ricordo tiepido , non so più se per il sole o per il riscaldamento anticipatamente acceso, nella saletta di corso Marconi c’era un gruppetto di giornalisti. A un certo punto uno di loro chiede: “E il sindaco che dice?”. Annibaldi sta per rispondere ma gli chiedo di lasciar parlare me. Sono sempre stato zitto, convinto che l’addetto stampa non sia portatore di opinioni ma facilitatore del rapporto tra i giornalisti e chi in azienda sapeva di cosa si parlasse. Ma quella volta, dopo il lungo parlare del dottor Agnelli, mi sentivo preparato e dissi: “Il sindaco? Ques’estate lasciava circolare le squadracce per la città e poi ce lo siamo trovato a piangere sui cadaveri”. Parole forti ancora oggi, me ne rendo conto.
Chiesero se potevano riferirle. Annibaldi e io dicemmo fate pure. Il giorno dopo i giornalisti presenti pubblicarono, ma senza attribuirle in modo specifico.
Passarono i mesi, arrivò fine luglio. Venni chiamato all’ottavo piano di corso Marconi, dove avevano gli uffici gli Agnelli, Romiti e Montezemolo.
Vidi uscire dall’ufficio dell’avvocato Agnelli Diego Novelli, che nemmeno mi guardò, semplicemente perché non sapeva chi fossi. Poi uscì Umberto Agnelli, che ridendo agitò l’indice come un maestro che redarguisce e mi disse compli: “Ha combinato un bel casino”. Gli ricordai il suo lavaggio del cervello e si allontanò divertito. Poi vidi Gianni Agnelli, tutto divertito anche lui. Sapeva che stavo per andare in vacanza nelle Filippine, dove all’epoca imperava il dittatore Marcos, il marito di Imelda. Mi disse:”Vada, vada nelle Filippine, lì sì che le insegneranno le pubbliche relazioni…” e mi salutò.
Non ne seppi più nulla, ma per anni ho ricordato l’episodio come esempio di classe e stile, cercando, nelle successive evoluzioni della ma vita, non solo professionale, di applicare sempre il principio che un capo deve sempre coprire i suoi uomini e le sue donne. Infatti sono rimasto abbastanza deluso leggendo come Emma Marcegaglia abbia brutalmente scaricato il suo addetto stampa. Altri tempi? no, perché ancora di recente Romano Prodi, che non amo, ha dimostrato lealtà assoluta verso suoi uomini, Sircana in testa, che gli hanno procurato imbarazzo. Allora si può solo dire altra stoffa.