ROMA – “Lo spam può far crollare il web” (New York Times), “Il più grande attacco informatico della storia” (The Times), “CyberBunker, l’attacco spam che colpisce milioni di utenti” (express.co.uk) oppure “Si tratta di qualcosa di simile alle bombe nucleari” (Matthew Prince, ad di Cloudflare). Titoloni in prima pagina che spaventano. Titoloni in prima pagina che però non citano dati, siti colpiti o utenti danneggiati. Cyberbunker attacca Spamhaus. Spamhaus, no profit che compila l’elenco della lista nera dei pirati del web ha di recente aggiunto un sito, Cyberbunker. Il server olandese ha deciso allora di scatenare una vera e propria ‘guerra informatica’ contro Spamhaus.
Qualcuno ha visto le bombe? Quali città sono state bombardate? Tutto tace. Siamo veramente di fronte al più grande attacco informatico della storia o stiamo semplicemente discutendo della più grande bufala informatica della storia?
Questa mattina il panico monta via Web. Gizmodo anti-titola la vicenda: “That Internet War Apocalypse Is a Lie”. Tradotto: “Questa web-guerra apocalittica è una bugia”. In Italia attivissimo.blogspot.it riprende l’articolo e chiede a tutti, dove sono queste macerie? Quali sono i dati?
Già, i dati. Qualcuno si è accorto della guerra? Al MIX-it no. Tutto tranquillo. Amazon no. “L’Internet Traffic Report segnala traffico stabile negli ultimi trenta giorni”. Tutto calmo sul fronte occidentale, tranne Google che è andato down questa mattina ma solo per gli utenti di Telecom. Colpa un problema alla rete, non certo per la presunta guerra in atto.
Quale dati abbiamo a disposizione? Chi sono questi presunti esperti? Cercando, cercando e cercando (sul Web naturalmente che intanto non rallenta e non muore) troviamo solo qualche notizia sparsa: “Un attacco con flussi di dati di 300 miliardi di bit al secondo indirizzati verso il sito dell’organizzazione”, “Una valanga immensa di flusso di traffico, dell’ordine di 300 GB al secondo: sei volte più della media di un attacco di questo genere” e qualche dichiarazione, minacciosa, degli interessati:
“Abbiamo avuto picchi di 300 gigabit al secondo – ha dihiarato Steve Linford, amministratore delegato di Spamhaus – quando nel caso di attacchi alle banche siamo stati appena sui 50 gigabit al secondo. Se oggi decidessero di mettere le mirino Downing Street, un flusso del genere potrebbe tagliarla completamente fuori dalla rete”.
“Si tratta di qualcosa di simile alle bombe nucleari – ha spiegato al Sydney Morning Herald Matthew Prince, amministratore delegato di Cloudflare – Cyberbunker ha trovato l’appoggio di bande criminali in Russia e in Europa orientale per condurre l’assalto, che potenzialmente potrebbe arrivare a mettere in ginocchio anche banche e gli apparati dei governi attraverso il server Netflix, del quale si servono diverse strutture istituzionali”.
Sull’attacco di Cyberbunker a Spamhaus rimangono pochi dubbi. Ma delle proporzioni apocalittiche dell’attacco, per ora, non c’è prova. Qualcuno già si chiede: e se fosse solo una trovata pubblicitaria?
