ROMA –Non è più un caso, è un’abitudine: ad ogni elezione è invasione di candidati. A migliaia, decine di migliaia si mettono in lista. E di liste, semmai questa è la novità del prossimo maggio, se ne fabbricano a decine e centinaia. Liste civiche, non sempre però tutte “civili”. E’ un fiorire di liste civiche dietro e dentro le quali si rifugiano e riparano i partiti tradizionali che temono un brutto risultato. Liste civiche che discendono in via diretta da un impegno in prima persona di esponenti della società civile che non vogliono più delegare. Liste civiche espressione di ogni sorta di istanza locale. E liste civiche alquanto “incivili” perché puntano a rivendersi domani il pacchetto, anche minimo, di voti ottenuti alla “Casta” locale che governerà. Gli italiani dunque non amano la politica e soprattutto i politici, anzi non perdono occasione per gridare il loro “schifo”. La “Casta” non è mai stata distante dalla società civile come in questi ultimi anni, lo dicono i sondaggi e lo si percepisce un po’ ovunque. Gli italiani odiano dunque i politici, ma si candidano sempre più in lista. Lo dicono i numeri dei candidati alle elezioni. Candidati che ancora una volta alle prossime amministrative di maggio saranno un esercito.
Le liste depositate mostrano un numero record di candidati. Scrive Massimo Gramellini su La Stampa:
“A Cuneo, dove tutti idealmente abbiamo fatto il militare, sono seicento i cittadini che aspirano a fare il consigliere comunale. Seicento su una popolazione di sessantamila anime, poppanti compresi, significa un candidato ogni cento cuneesi. Siamo al delegato di condominio. E mica soltanto a Cuneo. Ventisette liste a La Spezia, sedici candidati per la poltrona di sindaco ad Alessandria, ottocentocinquanta aspiranti consiglieri a Catanzaro e milletrecento a Palermo”. Una bulimia difficile da comprendere se la si misura con la manifesta distanza dalla politica che gli italiani professano. Ma candidarsi evidentemente non è solo politica, ma in molti casi interesse. E questo spiega qualcosa.
A Palermo, dove figurano 1300 aspiranti consiglieri comunali, si fronteggiano 11 candidati sindaco; a Isernia, tra i 600 candidati a consigliere, c’è persino l’ex parroco Don Vincenzo Chiodi, come indipendente del Movimento del Guerriero Sannita ma senza l’appoggio della Curia che anzi ha minacciato provvedimenti; a La Spezia si presentano in 800, sparsi in 27 liste con ben 14 candidati sindaco. Semplici cittadini ma anche nomi noti, attratti per la prima o l’ennesima volta, dal fascino della “poltrona”.
Rispunta Vittorio Sgarbi, che dopo la performance di Salemi ora punta su Cefalù, mentre all’altro capo della penisola a scendere in campo è un ex azzurro, Pietro Vierchowod. Il russo, come era soprannominato, è candidato a Como con uno slogan che grida vendetta: “Sto(p)per candidarmi”, riferimento al suo ruolo di stopper sui campi di calcio. Rocco Siffredi purtroppo non si è candidato, di certo aveva slogan migliori da offrire.
Alveo e contenitore di questa miriade di candidati soprattutto le liste civiche. Fenomeno ormai antico ma mai fuori moda. Nel cuneese, una delle liste ha come simbolo una donna nuda con il motto “Bunga bunga”. Ad Alessandria, con 16 candidati, 34 liste e un migliaio di nomi sparpagliati in simboli dai nomi singolari, come Nuvole, Politica Pulita, I cittadini prima di tutti…
Augurabile, come scrive Gramellini, che tra chi queste fila ingrossa ci sia anche la società civile che vuole riprendere in mano la res publica. Presumibile, invece, che la maggior parte, o almeno una buona parte dei candidati si presenti non per amor di patria ma per “amor di tasca”. Le liste civiche che solitamente accompagnano e contengono questo esercito di aspiranti politici sono di diversa natura: ci sono quelle più o meno dichiaratamente legate ad un partito “tradizionale”, nate per pescare un po’ di voti che il simbolo del partito forse non avrebbe raccolto; ci sono poi quelle espressione della già citata società civile ma ci sono, più spesso, quelle che esistono solo per “accattare” un pugno di voti, magari giocando anche sull’ingenuità degli elettori, buoni da rivendere ad elezioni finite.
Si parla di briciole in questo caso. Siamo alle amministrative e, nei piccoli centri, anche 50 voti possono far la differenza. Ci si candida, si sceglie un nome simpatico o “evocativo”, memorabili a Roma le “liste specchio” Forza Roma e Forza Lazio, e si vede quel che si raccoglie. Con una botta di fortuna si può persino essere eletti, mal che vada si prende un pugno di voti da cedere gentilmente a chi governare può, magari in cambio di un incarico, un permesso, una consulenza. Tutto fa brodo.
Tutti odiano la politica e la casta, ma l’odio somiglia ad invidia, e della torta tutti vogliono o vorrebbero un pezzetto. Scrive ancora Gramellini:
L’esperienza suggerirebbe il cinismo: ecco i soliti italiani, buoni a sputar fiele sulla Casta, in realtà smaniosi di farne parte: il titolare di un pacchettino di cinquanta voti potrà farlo pesare al momento delle alleanze, contrattando posti e prebende, alimentando spesa pubblica e familismi assortiti. Eppure mi voglio illudere che stavolta sia diverso. Che la liquefazione dei partiti della cosiddetta Seconda Repubblica rappresenti un fatto compiuto e i rivoli della società civile abbiano ricominciato a scorrere nell’alveo secco della politica, riempiendolo di una quota inevitabile di lestofanti, mestatori e goliardi, ma anche e soprattutto di idealisti e di entusiasti. E’ un flusso scomposto, in qualche caso sgangherato, ma pieno di passione politica ed energia vitale: quella che i partiti non esprimono più. La democrazia del futuro è nascosta lì in mezzo. L’augurio è che non si faccia guastare dalle cattive compagnie.
Speriamo abbia ragione l’editorialista de La Stampa, ma dubitare è lecito.