
La storica sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo in materia di libertà di stampa, la quale ha stabilito che
condannare un giornalista alla prigione è una violazione della libertà d’espressione, salvo casi eccezionali come incitamento alla violenza o diffusione di discorsi razzisti,
è stata accolta con freddezza dai giornali di sinistra nonostante faccia pulizia di un be po’ di bavagli e tolga anche giustificazione a nuove leggi comunque liberticide motivate con il pretesto di eliminare il carcere per i giornalisti, stata invece oggetto di un lungo articolo di Vittorio Feltri sul Giornale, che scrive:
“La Corte di Strasburgo non è neppure entrata nel merito della questione giudiziaria, ma ha ribadito un concetto assimilato da tutti i Paesi democratici (non solo europei) tranne che dal nostro, essendo guidato da trogloditi”.
I giudici europei, ha scritto Vittorio Feltri, hanno detto che
“i giornalisti non devono andare in galera per gli sbagli commessi nello svolgimento del loro lavoro, a meno che inneggino alla violenza o incitino all’odio razziale. Tutti gli altri eventuali reati commessi dai colleghi redattori vanno puniti, a seconda della gravità dei medesimi, con sanzioni pecuniarie. Perché la libertà di espressione non può essere compressa dal terrore dei giornalisti di finire dietro le sbarre.
“La Corte, per essere ancora più chiara, ha detto che il carcere collide con la Carta dei diritti dell’uomo. Inoltre,ha condannato lo Stato italiano a risarcire Belpietro – per il torto patito con 10mila euro, più 5mila per le spese legali”.
Poi Vittorio Feltri prosegue così:
“La vicenda [di Maurizio Belpietro] è addirittura paradossale. Udite. Lino Jannuzzi scrive un articolo scorticante sui misteri della mafia, citando qualche magistrato, e lo invia al Giornale . La redazione lo mette in pagina. E il dì appresso partono le querele delle suddette toghe. Si attende il processo di primo grado. Fra la sorpresa generale, il tribunale dopo avere udito testimoni ed esaminato approfonditamente le carte, assolve sia Jannuzzi sia Belpietro. Jannuzzi perché era senatore ed era suo diritto manifestare le proprie opinioni, senza limitazioni. Belpietro perché pubblicare il pezzo di un parlamentare non costituisce reato.
“Ovviamente i querelanti ricorrono in appello. E qui si ribalta tutto. Il direttore si becca quattro mesi di detenzione, per non parlare della sanzione economica: 100mila e passa euro. Trascorrono mesi e anni, e si arriva in Cassazione – suprema corte che, lasciando tutti di stucco, conferma la sentenza di secondo grado, a dimostrazione che la giustizia è un casino, dove la certezza del diritto è un sogno degli ingenui o dei fessi.
“Belpietro, allora, zitto zitto, inoltra ricorso alla Corte di Strasburgo che, essendo più civile rispetto al nostro sistema, riconosce al ricorrente di avere ragione. Attenzione. Le toghe europee non se la prendono con i colleghi italiani che, comunque , hanno esagerato con le pene, bensì con lo Stato e chi lo guida (governo e Parlamento) che consentono ancora – non avendo mai modificato i codici – di infliggere ai giornalisti la punizione del carcere, prediletta dalle dittature più infami.
“È un’accusa pesante nei confronti di senatori e deputati di ogni partito che si sono avvicendati nella costituzione della varie maggioranze a sostegno degli esecutivi di destra e di sinistra, indifferentemente”.
Qui a Vittorio Feltri la foga polemica ha forse fatto velo, perché le parole che seguono si applicano anche al fratello del suo editore, cioè a Silvio Berlusconi, che negli ultimi 20 anni è stato per 9 a capo del Governo:
“Gente priva di coscienza e rivelatasi non all’altezza di rappresentare degnamente il popolo italiano nonché incline a badare ai fatti propri- di tasca- e a trascurare gli interessi del Paese, di cui i mezzi di comunicazione sono i principali interpreti. In termini volgari e crudi, l’Italia ha un potere legislativo che legifera soltanto in funzione della propria sopravvivenza nel Palazzo e sorvola sui principi fondamentali della democrazia, che non è tale se i giornalisti hanno paura (della cella) a raccontare i fatti e a esprimere pensieri forti e/o scomodi”.
Vittorio Feltri ricorda poi il caso di Alessandro Sallusti, attuale direttore del Giornale,
“arrestato per un articolo non scritto da lui”
e quello di Giorgio Mulè, direttore di Panorama e di
“alcuni suoi redattori, condannati alla prigione per avere divulgato quella che ritenevano fosse – e forse era – la verità”.
[…]
“L’abolizione del carcere per i giornalisti è tuttora lettera morta e le pratiche inevase giacciono in fondo a un cassetto, con tanti saluti alla libertà di stampa. Siamo la maglia nera dell’Europa anche in materia di riforme non onerose. Correggere la legge ingiusta costerebbe nella fattispecie 10 euro. Un’inezia. Lorsignori se ne fregano anche delle umiliazioni inflitte loro dalla Corte dei diritti dell’uomo.Ma che siano asini lo sappiamo da sempre. Siamo stati derubati anche della speranza”.