MILANO – Circa la metà dei follower dei profili Twitter delle aziende sarebbero finti. Lo dice una ricerca dell’università milanese Iulm condotta da Marco Camisani Calzolari, professore di Comunicazione aziendale e Linguaggi digitali. Il 45% dei follower dei profili Twitter delle aziende sarebbero falsi e contribuirebbero a intossicare il mondo del social network. Dietro a tanti profili non ci sarebbero persone in carne e ossa, ma veri e propri esseri virtuali chiamati “bot”, abbreviazione di robot, creati attraverso l’utilizzo di algoritmi (per la precisione infomorfi) capaci di simulare pensieri e comportamenti umani.
L’abbondare delle cosiddette utenze “fake” su Twitter è da tempo oggetto di discussione e lo studio dell’ateneo milanese porta numeri e dati ai sospetti già sollevati da altri media, come il britannico Guardian che nella rubrica di Jon Ronson, ospitata in “Comment is free”, spiega come funziona il meccanismo dei bot. Per Camisani Calzolari “il numero di follower non è più un valido indicatore della popolarità di un soggetto presente su Twitter e non si potrà più prescindere da approfondimenti di carattere qualitativo”. Perché le società specializzate nella creazione di questi “bot” sono anche pronte a vendere interi pacchetti di falsi follower alle aziende interessate e alcuni governi – come la Siria – hanno già utilizzato i robot per sedare il passa parola di Twitter e provare a scongiurare manifestazioni e proteste. Per lo studio Iulm tra gli indiziati ci sono multinazionali come Dell Outlet, Pepsi e Nokia.
Ma il fenomeno fragoroso non si limita ai casi delle multinazionale pizzicate dalla ricerca di Camisani Calzolari. Semplici e privati twittatori possono procurarsi in rete il loro moltiplicatore di follower da siti come thetwitterbot o tweepi e vedere aumentare, anche a colpi di migliaia i propri, affezionati . Il sistema è semplice e chi cinguetta incappa anche in realtà apparentemente insospettabili, come i movimenti di opinione, che fanno ricorso a falsi utenti Twitter per promuovere iniziative e far entrare lecampagne nei trending topics che segnalano i temi di maggior successo. Sono tanti i follower di ong e associazioni che come unica attività hanno quella di ritwittare di continuo gli stessi messaggi inviati dal profilo ufficiale dell’organizzazione.
Tra i casi più noti c’è quello di Greenpeace, leader nelle campagne di opinione on line. Per alcuni si tratta di bot “umani”, persone con più profili usati come semplici moltiplicatori. Per altri sono veri e propri bot. Il risultato resta comunque lo stesso: tanti Twitt, nessun vero twittatore. A chi si scandalizza del fenomeno bot i realisti del mondo social rispondono con “niente di nuovo sotto il sole”. Ai primordi del boom di Twitter si è attribuito all’uccellino blu il merito di animare piazze e rivoluzioni. Capita l’antifona multinazionali, attivisti e movimenti d’opinione hanno deciso di non perdere l’occasione. L’antico adagio “l’ha detto la Tv” oggi è diventato “l’ho letto su Twitter”.