Cesare Lanza, giornalista e autore televisivo, ha scritto per Panorama un articolo sul Festival di Sanremo in cui traccia la storia e anche un disegno contemporaneo di un evento che non è solo musicale, ma ha rappresentato un pezzo dell’Italia di oggi.
Lanza conosce bene i meccanismi del Festival, non solo perché è stato ai vertici del quotidiano ligure Secolo XIX, ma soprattutto perché ha partecipato alla realizzazione di tre recenti edizioni di grande successo: nel 2005 e 2009 con Paolo Bonolis e nel 2010 con Antonella Clerici.
Come ricorda Lanza, “il Festival di Sanremo è uno show televisivo mostruoso e incontenibile, che si rinnova ogni anno, nel 2011 in calendario dal 15 al 19 febbraio, su un copione consolidato, ma con continui, stravaganti aggiornamenti”.
Ormai, sottolinea Lanza, “gli ascolti si inseguono con ospiti a sorpresa e provocazioni: da Gorbaciov a Tyson, dal Moulin rouge a Dita Von Teese, regina del burlesque, dal caso Morgan a Belen, entrambi profumati di scandalo, fino ai temi esistenziali più delicati, l’eutanasia, l’emarginazione dei gay, perfino le guerre, la fame nel mondo!”.
Invece, per quanto riguarda l’aspetto musicale, prosegue l’articolo, “i grandi cantanti, quelli affer- mati e prestigiosi, a Sanremo non vanno mai: non solo i leggendari Celentano e Mina, ma anche Ligabue, Ramazzotti, Laura Pausini, Rossi, Zero, Dal- la, De Gregori, Baglioni, Milva, Conte… Non partecipare a Sanremo è uno status symbol!”
Questo accade perché “i veri big non vogliono confondersi con l’armata brancaleonide che si forma nei cinque giorni della competizione: un circo, grottesco e patetico, non solo di assistenti e addetti stampa, pierre, parrucchieri e sarti, ma anche questuanti e lacchè, maghi e maghe, intrallazzatori di ogni risma”.
Scrive Lanza che “un giornalista, Paolo Festuccia della Stampa, del tutto estraneo agli interessi che ruotano attorno al Festival nel mondo musicale, ha provato ad analizzare meticolosamente il reticolato di affari, il colossale business gestito da chi ha il privilegio di organizzare la manifestazione. E ha scoperto che, grazie a una curiosa attribuzione di potere di voto (e di veti) ai componenti dell’orchestra, non dovrebbe essere arduo prevedere e stabilire il percorso delle canzoni in gara (gli orchestrali, infatti, sono scelti dal direttore d’orchestra, scelto a sua volta dagli organizzatori)”.
Il retroscena, svela Lanza, “è che il direttore di Raiuno, Mauro Mazza, ha deciso, di fatto, di affidare senza limiti l’organizzazione del Festival al cosiddetto direttore artistico Gianmarco Mazzi e a Lucio Presta. Mazzi non ha un curriculum illuminato da rilevanti successi: ha collaborato ad altri festival, ma ha vinto con Paolo Bonolis, una garanzia, e la straordinaria Antonella Clerici (anche se il mio giudizio può sembrare viziato dal fatto che anch’io curavo quelle edizioni, i risultati parlano chiaro) o floppato (con Giorgio Panariello), a seconda della personalità, decisiva, del conduttore di turno”.
Invece, sottolinea Lanza, “pur privo di un ruolo ufficiale, Presta è il vero dominus nell’ombra: rappresenta il fior fiore di personaggi televisivi e sa bene come far pesare questo potere. A Sanremo e nei palinsesti. Nulla si muove senza la sua volontà e il suo consenso: ingaggi, conduttori, autori, cantanti, ospiti, strutture di lavoro”.
Mai, spiega Lanza, “neanche autentici boss come Gianni Ravera (Forlani) e Adriano Aragozzini (De Mita), in passato godettero di un simile potere, nonostante il sostegno, all’epoca decisivo, dei leader della vecchia Dc”.
E Lucio Presta, conclude Lanza, “come un novello «Grande Gatsby», non porta più l’amata pistola, ma dal suo faraonico yacht impartisce ordini minuziosi. A Mazzi ha suggerito di pretendere un contratto biennale: non si sa mai”.