Nonostante l’idea diffusa che i testi delle canzoni abbiano un’importanza fondamentale, gli album strumentali nel rock sono tutt’altro che rari. Dalle sperimentazioni di artisti che normalmente scrivono testi da cantare, alle band che hanno fatto delle composizioni strumentali il loro marchio di fabbrica, sono moltissimi i musicisti che si sono cimentati con la musica pura, libera dalle costrizioni di un testo. In effetti, in assenza di una linea cantata, la musica deve necessariamente diventare ancora più espressiva in sé.
Per la nostra selezione di questa settimana, abbiamo quindi deciso di escludere tutti gli album che tendono troppo esplicitamente al jazz e alla fusion, generi in cui la composizione strumentale la fa da padrona e che meriterebbero una menzione a parte, ma anche gli album non completamente strumentali, in cui compare anche un solo brano con un testo cantato. Siamo convinti che l’esperienza di ascolto degli album qui elencati possa essere illuminante!
Pubblicato nel 1975, con la produzione e gli arrangiamenti orchestrali di quel mago che risponde al nome di George Martin (già produttore dei Beatles, per chi non lo sapesse…), Blow By Blow propone nove brani interamente strumentali, incluse alcune cover (She’s a Woman dei Beatles e Cause We’ve Ended as Lovers di Stevie Wonder) e un brano che lo stesso Stevie Wonder cedette a Jeff Beck per questo album: Thelonius, portando lo spirito delle esplorazioni strumentali della Mahavishnu Orchestra e dei Brand X nel territorio del rock. Proprio in She’s a Woman, per essere onesti, troviamo l’uso del talk box, che farebbe quasi pensare a un testo cantato, ma si tratta in realtà di un effetto che fa apparire il suono della chitarra come se parlasse. Da sottolineare lo splendido e innovativo lavoro di Richard Bailey alla batteria. Ma il brano che è diventato simbolo dell’intero album è senza dubbio Cause We’ve Ended as Lovers, che Beck ha portato in concerto fino alla fine della sua carriera.
Altra pietra miliare del rock strumentale, Tubular Bells è il primo album solista di Mike Oldfield, pubblicato esattamente 50 anni fa, nel 1973. Oldfield, appena ventenne, compone qui una lunga suite, interrotta solo dalla necessità di cambiare lato del vinile, suonando quasi tutti gli strumenti e dimostrando una maturità compositiva fuori dalla norma. Una versione live in studio della prima parte della suite compare nel dvd Elements, dove Oldfield è accompagnato da Steve Hillage e Pierre Moerlen dei Gong, Fred Frith, Geoff Leigh, John Greaves e Tim Hodgkinson degli Henry Cow, Mick Taylor dei Rolling Stones, Mike Rutledge e Karl Jenkins dei Soft Machine.
I Liquid Tension Experiment sono un supergruppo fondato da Mike Portnoy (batterista dei Dream Theater) insieme a Tony Levin (già bassista nei King Crimson, tra gli altri), Jordan Rudess e John Petrucci (rispettivamente tastierista e chitarrista sempre dei Dream Theater). Fin dal primo album si sono caratterizzati per una scelta sostanzialmente strumentale, ma il loro secondo lavoro del 1999 (Liquid Tension Experiment 2) elimina ogni traccia di intervento vocale o testuale. Basato principalmente su registrazioni di improvvisazioni e jam session, l’album presenta brani di grande impatto, ricchi di passaggi tecnicamente arditi e sonorità particolari ottenute utilizzando strumenti atipici, come il Chapman stick suonato da Tony Levin o la chitarra a sette corde di John Petrucci nella traccia di apertura Acid Rain.
Il terzo album dei Camel, pubblicato nel 1975, racconta una storia senza l’aiuto di alcun testo cantato. Ci sono, a dire la verità, due interventi vocali, in Migration e in Preparation, ma nessun testo cantato: la voce è usata come uno strumento. È un album rappresentativo dello stile Canterbury, ma senza la tendenza verso la fusion che caratterizza altri capolavori strumentali del genere. Si lascia ascoltare tutto di un fiato, seguendo la storia ispirata al racconto di Paul Gallico La principessa smarrita (The Snow Goose), senza che si avverta la mancanza di un testo esplicito. Un concept album strumentale. Certamente un ascolto diverso da tanti altri album strumentali che risultano più di atmosfera. Potrebbe anche valere la pena di leggere il racconto per seguire meglio l’evolversi della storia attraverso i brani.
5. Ed Alleyne Johnson, Ultraviolet
Ed eccoci di fronte a uno di quegli album che sfugge a qualsiasi etichetta, a qualsiasi descrizione. Pubblicato nel 1994, è un concentrato di suggestioni sonore, un’alchimia di emozioni che si tiene insieme solo grazie al genio di Ed Alleyne Johnson e del suo violino elettrico (che già aveva prestato ai New Model Army e ad una serie di tour di artisti di fama mondiale). L’uso sapiente di effetti e loop mette in risalto una sensibilità che solo un grande musicista come lui è in grado di far trasparire da un’arida registrazione.
6. Popol Vuh, In Der Gärten Pharaos
Alfieri del krautrock insieme ai Kraftwerk, ai Neu!, agli Amun Duul e ai Can (tra gli altri), i Popol Vuh pubblicano nel 1971 questo album interamente strumentale, con una sola traccia per facciata. Lo stile del krautrock, intriso di ritmi ossessivi, sperimentazioni elettroniche e atmosfere psichedeliche, per non dire cosmiche, viene qui amalgamato a suoni etnici e strumenti analogici. Il risultato è un maestoso viaggio che ci riconcilia con l’universo.
7. Godspeed You! Black Emperor, Lift Your Skinny Fists Like Antennas to Heaven
Molti sono gli album di post-rock basati quasi esclusivamente su composizioni strumentali, dai lavori dei God Is An Astronaut, a quelli dei Mogwai o degli Evpatoria Report, per citarne alcuni. Questo album dei Godspeed You! Black Emperor, pubblicato nel 2000, si distingue non solo per il fatto di essere esclusivamente strumentale, ma anche per la capacità di evocare emozioni, oltre i paesaggi sonori tipici del genere.
8. Ozric Tentacles, Strangeitude
Tutta la vasta produzione degli Ozric Tentacles è esclusivamente strumentale e di altissima qualità. È difficile quindi scegliere un album piuttosto che un altro. Strangeitude è il loro terzo lavoro, pubblicato nel 1998 e, grazie anche a brani come Sploosh! e la stessa Strangeitude, li ha portati a una più vasta notorietà. Un album maturo, di psichedelia “evoluta”, ovvero con grande uso di elettronica ed effetti che, in pieno stile Ozric, ci offre una cavalcata fra riff pungenti e soluzioni ritmiche ardite, che risultano meravigliosamente ipnotiche.
9. Animals As Leaders, The Joy of Motion
E arriviamo all’ambito del metal, o se preferite del prog-metal, che è una miniera di composizioni e anche interi album esclusivamente strumentali. Abbiamo scelto fra tutti The Joy of Motion (uscito nel 2014) perché, accanto al tecnicismo tipico del genere (Tosin Abasi qui suona una chitarra a otto corde), propone anche momenti di atmosfera che possono rendere più accessibile l’ascolto a chi non fosse già appassionato alle funamboliche performance melodico-ritmiche di questo genere.
10. Steve Vai, Passion and Warfare
Secondo album di Steve Vai, viene pubblicato nel 1990, ed è considerato da molti come una pietra miliare imprescindibile del rock strumentale. Compaiono qua e là degli interventi vocali, principalmente parlati, ma si tratta di introduzioni o di voci usate come “effetti sonori”, non di un vero e proprio testo cantato. Protagonista assoluta è la magistrale performance chitarristica di Steve Vai, ma anche la sezione ritmica, in particolare il bassista Stuart Hamm, ha modo di far risaltare le proprie incredibili qualità tecniche.