I Rolling Stones sono una delle band più longeve del panorama rock e hanno indubbiamente caratterizzato un’era musicale con decine e centinaia di canzoni celeberrime. Dopo aver esplorato in un precedente articolo le cover più ardite dei Beatles, oggi andiamo a scoprire quali sono le cover più ardite dei Rolling Stones. Anche in questo caso, sono davvero tantissimi gli artisti che hanno omaggiato gli Stones con versioni più o meno personalizzate delle loro canzoni, sia dal vivo che in studio. Tra questi ci sono anche moltissimi nomi famosi: The Who, Deep Purple, U2, Prince, Aretha Franklin, David Bowie, Muddy Waters, Tina Turner, Peter Frampton, Motorhead, Johnny Cash, Guns’n’Roses, Jane’s Addiction, Oasis, Rage Against the Machine, Elvis Costello, Beth Hart, Kiss, Allman Brothers Band, Def Leppard, Soundgarden… e l’elenco potrebbe continuare…
Ma nella maggior parte dei casi, si tratta di cover piuttosto fedeli agli originali, al massimo con un po’ di enfasi sui tratti che caratterizzano di volta in volta gli interpreti interessati. Qui però io sono andato a caccia di versioni ardite, “strane”, di interpretazioni che si discostano il più possibile dalla versione originale. Esistono, per i più curiosi, una serie di raccolte dedicate interamente ai Rolling Stones, reinterpretati nell’ottica di un genere specifico. Ad esempio All Blues’d Up! Songs of the Rolling Stones, del 2002, propone alcuni classici degli Stones in versione più blues e funky, con interpreti di tutto rispetto. Paint It Blue: A Bluegrass Tribute to the Rolling Stones, del 2005, contiene invece dieci brani famosi in versione bluegrass, interpretati dagli Honeywagon. Paint It Black: A Reggae Tribute to the Rolling Stones, del 2002, propone dieci brani riletti in chiave reggae.
Ci sono poi le versioni orchestrali della Andrew Oldham Orchestra, progetto del produttore dei Rolling Stones, che nel 1966 pubblica The Rolling Stones Songbook: la versione orchestrale di The Last Time verrà poi campionata e utilizzata dai Verve nella loro Bitter Sweet Symphomy. Esistono addirittura compilation dedicate a un unico brano presentato nelle versioni di diversi artisti, come in Painted Black, del 2003, che include undici diverse versioni dello stesso brano interpretate da artisti diversi! Nonostante tutta questa ricchezza di tributi ai Rolling Stones, spesso ci troviamo di fronte a versioni che poco aggiungono rispetto agli originali. Andiamo allora a vedere quali sono le cover più ardite dei Rolling Stones, famose o sconosciute, che ho scovato per voi!
Questa è sicuramente la cover più famosa, citata ogni volta che si parla di reinterpretazioni di un brano dei Rolling Stones. Per quanto, quindi, possa apparire una scelta banale, si tratta pur sempre di una versione estremamente originale e ben riuscita. In questa cover, contenuta nell’album Question: Are We Not Men? Answer: We Are Devo del 1978, l’iconico riff dell’originale quasi scompare, la ritmica si fa più ossessiva e le chitarre e la voce costruiscono quel senso di schizofrenia tipico della produzione dei Devo. Satisfaction, pubblicata dagli Stones nel 1965, è probabilmente la loro canzone che più si presta ad essere reinterpretata in maniera originale. Fra le tantissime altre versioni che ne sono state realizzate, tre spiccano comunque per originalità, accanto a quella dei Devo. Nell’album Taste the Conium del 1972 della band greca Socrates Drank the Conium, compare una brano intitolato Wild Satisfaction: tredici minuti di reinterpretazione del classico dei Rolling Stones con ampio spazio all’improvvisazione e anche un notevole assolo di batteria! C’è poi la meravigliosa versione di Otis Redding, pubblicata nel 1965, solo pochi mesi dopo l’uscita dell’originale, nell’album Otis Blue/Otis Redding Sings Soul: qui il riff viene magistralmente riarrangiato per la sezione fiati. Infine vi segnalo la cover realizzata dall’inconsueta coppia Bjork e PJ Harvey nel live per i BRIT Awards del 1994, con chitarra, tastierina “giocattolo” e due voci incredibili: non mi risulta che sia stata pubblicata su nessun album, ma è facile da trovare su Youtube.
Un’altra accoppiata a dir poco improbabile… Gli Hawkwind hanno reinterpretato questo classico del 1969 degli Stones nel loro album It is the Business of the Future to be Dangerous nel 1993. Nell’album il brano è cantato dal batterista Richard Chadwick. Nello stesso anno, però, pubblicarono un singolo dello stesso brano con la partecipazione di Samantha Fox alla seconda voce: un misto di psichedelia innovativa e una piacevole sorpresa che dà una nuova veste alla canzone. Tra le tante altre cover di Gimme Shelter, vi segnalo comunque anche quella dei Sister of Mercy e quella dei New Model Army, anche qui in un’accoppiata singolare, con Tom Jones alla voce…
Miss You, pubblicata dai Rolling Stones nel 1978, vanta anch’essa numerose reinterpretazioni, tra cui quella di Sugar Blue, che peraltro già suonava l’armonica nell’originale, e quella dei Chevy Metal, sideproject di Taylor Hawkins. Ma la versione pubblicata da Etta James nel suo album Matriarch of the Blues del 2000 spicca per originalità. In realtà Etta James eseguiva il brano dal vivo già da parecchi anni, ma quando decide di inciderlo ne cura l’arrangiamento, creando un piccolo gioiello con caratteristiche abbastanza diverse dall’interpretazione degli Stones.
Pubblicata dai Rolling Stones nel 1969, Honky Tonk Women è stata rivisitata da artisti del calibro di Ike & Tina Turner, Taj Mahal, Joe Cocker, Albert King e Prince, tra gli atri. La versione incisa da Elton John nel suo album 17-11-70 del 1971 cattura l’esecuzione di un live a New York del 1970 che vale la pena ascoltare accanto all’originale!
Pubblicata nel 1971, solo pochi mesi dopo l’uscita dell’album degli Stones, in King of Rock’n’roll, questa versione di Little Richard è l’unica a mio parere che si distacchi abbastanza dall’originale. Nulla di trascendentale, ma una bellissima versione con diversi tratti caratterizzanti.
Questa cover di Ruth Copeland, inserita nell’album I Am What I Am del 1971, ci porta già in un ambito che potremmo definire più “ardito”. Play With Fire, pubblicata dagli Stones nel 1965, qui viene reinterpretata con grande originalità. La voce di Ruth Copeland è accompagnata da musicisti d’eccezione, provenienti dai Parliament e dai Funkadelic, in un godibilissimo e originale crescendo costruito con grande maestria.
Start Me Up, pubblicata dai Rolling Stones nel 1981, qui viene reinterpretata in chiave bluegrass dai Folksmen. Questa versione è inserita nella colonna sonora del film A Mighty Wind e pubblicata nell’album del 2003 A Mighty Wind – The Album. Il brano viene velocizzato e interpretato con gli strumenti e i cori tipici del bluegrass, rendendo questa cover divertente, oltre che originale.
Paint It Black è un brano del 1966 degli Stones, che vanta molte reinterpretazioni, da Eric Burdon ai Deep Purple, dagli Echo and the Bunnymen agli U2, che però difficilmente si distaccano dall’originale. Più ardite sono le versioni degli Halftime a Cappella e del duo di arpiste Harp Twins. Ma la reinterpretazione degli Acid Mothers Temple batte tutte le altre quanto a inventiva e follia. Contenuta nella compilation Painted Black del 2003, la canzone si pare con la celebre melodia, che però viene articolata e modificata, fino a sfociare in un imprevedibile delirio di improvvisazione free jazz e space rock.
Cosa c’è di più ardito che immaginare un brano dei Rolling Stones eseguito a cappella, da sole voci? Ruby Tuesday, pubblicata originariamente nel 1967, è stata reinterpretata anche da Franco Battiato, in una versione leggermente più d’atmosfera ma che pecca di una imbarazzante pronuncia inglese, e anche da Nazareth, Big Country e Scorpions, tra gli altri. Ma in nessuno di questi casi mi sentirei di parlare di cover “ardita”… Gli svedesi Goda Hopp la hanno inclusa nel loro album Ljuva 60-tal del 2019, in una interessante versione a cappella.
Per concludere, sempre tenendo a mente che lo scopo di questi articoli è di ascoltare e forse scoprire buona musica e divertirsi, vi propongo questa, che forse non si può neanche definire una cover. Si tratta piuttosto di una follia, un medley di almeno undici brani dei Rolling Stones interpretati in chiave polka. Chi conosce già Yankovic sa che tipo di pazzia aspettarsi! Pubblicato nel 1989 all’interno dell’album UHF – Original Motion Picture Soundtrack and Other Stuff, questo brano potrebbe essere visto come una sorta di parodia e presa in giro. Personalmente lo considero un tributo ai Rolling Stones e alla loro carriera, e mi è difficile pensare che fosse concepito diversamente. Ad ogni modo… è divertente!
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