
ROMA – Esordio con successo per “Magazzino 18”, spettacolo civile in musica di Simone Cristicchi, e tratta del dramma dell’esodo da istria, Venezia Giulia e Dalmazia del 1947, quando migliaia. Migliaia di italiani furono cacciati dalle loro case dalle milizie comuniste yugoslave del maresciallo Tito.
Fu una tragedia nazionale tenuta sempre in sordina, fuori dei confini di Trieste, negli anni della guerra fredda e che ancora la sinistra ex Pci non ha imparato a affrontare.
Lo spettacolo prende il nome dal gigantesco silos, il Magazzino 18, nel quale i profughi italiani, cacciati a mani vuote dalle loro case, dovettero abbandonare le proprie masserizie, tutt’oggi chiuso al pubblico e in stato di semi-abbandono.
Prima del debutto, Magazzino 18, aveva suscitato vivaci polemiche a Trieste per la scelta di Cristicchi di inserire nello spettacolo un brano recitato da una bambina in sloveno e un testo sulle violenze italiane in Slovenia. La scelta è stata controversa, per molti è apparsa come un cedimento della italianità del testo originale di fronte alle pressioni della sinistra tradizionalmente più vicina ai comunisti titini rispetto alle tendenze più nostalgiche del fasdcismo di molti profughi e anche triestini, che si sono sempre sentiti abbandonati dalle autorità centrali italiane, parte per quieto vivere parte per acquiescenza.
Come riporta il Fatto Quotidiano, a firma diElisabetta Reguitti, quando Simone Cristicchi ha deciso di scrivere e portare in scena Magazzino 18 non si è chiesto cos’è di destra o di sinistra. Voleva narrare le vite spezzate delle famiglie dei “rossi” tanto quelle dei “neri”.
Ecco uno stralcio dell’intervista a Cristicchi in edicola giovedì 24 ottobre.
Scommessa vinta con il tutto esaurito e il successo della prima al Rossetti di Trieste?
Sì. Una cosa davvero unica penso nella storia di questo teatro. All’inizio si respirava tanta tensione che poi si è sciolta anche con qualche risata. Personalmente non mi era mai capitato di andare in scena in un teatro all’esterno del quale c’erano le forze dell’ordine per timore di disordini. È stata la vittoria della gente che non ha voce, visto che con questo musical siamo riusciti a colmare il silenzio di tanti anni. Il lungo e ininterrotto applauso finale ha posto la parola fine su tutte le polemiche.
La diatriba sollevata tra chi prima le dava del comunista e poi del fascio è specchio di quell’Italia che si perde dietro l’ultima corrente politica…
Di chi parla senza conoscere, di chi pontifica a prescindere. Di una tendenza a dare per scontato che fossi schierato da una parte o dall’altra. Io sono schierato con le storie che racconto, dalle miniere alla seconda guerra mondiale, con tutte quelle vite che hanno fatto la Storia di questo paese indipendentemente dalle etichette di destra o di sinistra.
È bastato inserire la lettera di una bambina slovena che ricorda la morte del papà in un campo di concentramento per accusarla addirittura di una visione giustificazionista degli eccidi slavo-comunisti…
Ciò che più mi ha ferito è che qualcuno abbia detto che fossi un artista manipolabile.
Alla vigilia, in conferenza stampa lei aveva affermato: “Nel resto dell’Italia il giuliano-dalmata è scambiato al massimo per un letterato” mettendo tutti a tacere e soprattutto facendo capire che non è guardandosi l’ombelico che si fanno passi in avanti…
Lo spettacolo si conclude con una frase che richiama l’attualità di tutti i profughi e gli esuli del mondo che fuggono dall’odio razziale, dalla fame e dalle guerre. Ieri come oggi. Di tutte quelle persone che hanno scelto liberamente di mettersi in cammino verso la libertà e la democrazia. Ho solamente voluto allargare la visione di questo fazzoletto di terra estendendola al mondo intero. Un punto di vista molto più ampio che da Trieste arriva fino a Lampedusa. (…)
Come ha deciso di dedicarsi a quello che lei chiama “musical civile”?
Posso dire di aver inaugurato questo filone in cui un attore non è solo voce narrante ma interprete di diversi personaggi accompagnati da canzoni appositamente scritte sulla base di testi e testimonianze frutto di una ricerca durata quattro anni. Un prototipo teatrale che mi è piaciuto molto e che si presta a molti altri argomenti (…)
Anche perché i ragazzi, dei 350 mila esuli italiani della Jugoslavia di Tito non sanno molto…
Ritengo che la generazione precedente alla mia non abbia fatto i conti con quella vicenda. Chi come me viene dopo ha una visione più imparziale e non intrisa di ideologia che permette di capire che non è stata solo la tragedia bensì una vera trasformazione di un popolo e credo che sia questo l’elemento di interesse per i giovani. (…)
