Aereo fuori pista a Palermo, il racconto del passeggero Angelo Spena: “Nessuno ci ha aiutato, soccorsi latitanti”

La situazione di caos scaturita dall’incidente all’aeroporto di Palermo, dove un aereo è andato fuori pista a causa della pioggia, viene messa in evidenza da Angelo Spena, docente di geofisica, intervistato da Fedora Quattrocchi,  opinionista di Blitzquotidiano e responsabile dell’Unità Funzionale di geochimica dei fluidi, stoccaggio geologico e geotermia all’INGV, in viaggio per un congresso a Erice.

Spena racconta: “Ero uno dei passeggeri del volo WindJet Roma-Palermo del 24 settembre 2010. Non avendo purtroppo ricevuto nulla di asciutto dopo aver percorso circa 1 chilometro a piedi, al buio, dalla carlinga dell’aereo disastrato fino alla prima ambulanza incontrata dopo mezz’ora sotto una pioggia battente, sono stato accompagnato a Erice all’una di notte sfinito e fradicio, insieme a mia moglie nelle stesse condizioni”.

A questo punto, dopo aver raccontato di un volo continuamente disturbato dal maltempo, Spena spiega la situazione post-incidente: “Le hostess si sono poste in coda, hanno controllato la situazione, hanno invitato con efficacia alla calma e sono riuscite in pochi secondi ad aprire i portelli. Siamo scesi con relativo ordine dal portello di coda destro, aperto ad appena venti centimetri da terra. Non c’era nessuno. Abbiamo aggirato l’ala e il motore, per paura del fuoco, ma ci ha rassicurato l’assenza di odore di kerosene. Ci siamo incamminati il più lontano possibile dall’aereo, lungo il margine della pista principale in direzione delle luci della aerostazione, lontane a occhio 1,5-2 km davanti a noi sulla sinistra. Ogni tanto ci guardavamo indietro increduli. L’aereo era sempre più lontano”.

E gli aiuti? “Nessun soccorritore si presentava. Verso le 20,15 abbiamo visto mezzi dei Vigili del Fuoco iniziare a muoversi sulla via parallela alla pista, a circa 200 m da noi, come in cerca di qualcosa, per poi puntare verso l’aereo, che avrebbero raggiunto circondato alle nostre spalle verso le 20,20. Alle ore 20,17 mia moglie sempre camminando ha chiamato con il cellulare il 112. L’operatore ha risposto di non sapere nulla e ha passato il centro Carabinieri di Carini. Mia moglie ha raccontato l’accaduto e ha chiesto soccorso. Non le hanno creduto, le hanno risposto: ‘Ma signora che cosa dice, noi non sappiamo nulla’. Le ho preso il cellulare e strillato di fare qualcosa. Abbiamo chiamato ancora il 113 alle 20,24, più o meno con lo stesso concitato dialogo. Eravamo un centinaio di persone prima incolonnate, poi sempre più sparse e sgranate, che camminavano nel buio e nell’acqua sotto la pioggia battente seguendo solo le luci della pista, attratte dai bagliori lontani della aerostazione, con l’adrenalina dell’essere vivi, per circa 25-30 minuti. La nuova paura era che qualche aereo percorresse la nostra pista, come ci era parso sulla via parallela. Un aereo in attesa di autorizzazione al decollo (che non verrà) ha dato l’allarme di persone sulla pista alla torre di controllo”.

“Dopo un percorso di poco più di 1 km eravamo ormai tutti sparsi tra campi e asfalto – prosegue il racconto di Spena – Io e mia moglie abbiamo avvistato un mezzo che percorreva una bretella convergendo nella nostra direzione. Era un’ambulanza, abbiamo gesticolato vicino ad un segnale luminoso. Ci ha quindi avvistato nel buio (finora non si era accesa una fotoelettrica in tutta la zona!) e così, attraversato un prato acquitrinoso, l’abbiamo raggiunta. Eravamo in tanti, una decina, sul mezzo: abbiamo guardato l’ora ed erano le 20,35, circa quindi mezzora dopo l’atterraggio. L’ambulanza poi ha caricato altre due persone, ed eravamo ormai stretti in piedi. Ma l’ambulanza non conosceva i percorsi, il conducente temeva di incrociare aerei non trovando il punto dove portarci. Abbiamo insistito per essere comunque sbarcati da questa situazione di insicurezza. C’era, tra noi passeggeri, un poliziotto che conosceva l’aeroporto, che ha fatto fermare il mezzo, è sceso ed è risalito davanti, guidando finalmente il conducente (erano trascorsi nel frattempo altri 20 minuti) alla aerostazione”.

Un ferito

Infine l’arrivo in aeroporto e la triste verità: “Siamo saliti agli Arrivi con le nostre gambe, tra chi aveva crisi di pianto e chi era dolorante. Un centinaio di passeggeri scampati si sono raccolti nel salone dei nastri consegna bagagli. Credevo di essere tra gli ultimi, ma non era finita: c’era forse chi l’aeroporto lo aveva percorso a piedi senza ambulanza (quasi 2 km) ed arrivava solo dopo quasi un’ora. C’era un finanziere e un altro uomo in divisa, mi sembra un poliziotto. Non altri. Non ho visto medici o infermieri. Saranno altrove, ho pensato. Erano a quel punto circa le 21,00. Soprattutto, sembrava non ci fosse consapevolezza, tra gli addetti, della gravità dell’accaduto. Una volta superata l’incredulità abbiamo cominciato a chiamare aiuto ad alta voce. Eravamo bagnati da cima a fondo con l’acqua nelle scarpe. Ho chiesto al finanziere cosa prevedeva il piano di emergenza. Gli ho chiesto se c’era un piano di emergenza. Verso le 21,10 ho chiamato un collega a Roma perché allertasse la sala operativa della Protezione civile visto che nessuno in aeroporto sapeva nulla. Mi risulta che Roma abbia chiamato la sala operativa regionale di Palermo. Erano arrivate così le 21,22. Mi sono seduto sfinito ed ho atteso i “soccorsi”.

Spena infine si appella alle autorità: “Come viaggiatore mi auguro che, superando interessi di parte, si accertino le cause dell’incidente. Considerato poi che le autorità hanno perso i contatti con piu’ di cento cittadini in grave difficolta’ per almeno mezz’ora, spero che i magistrati ascoltino la loro verita’ (poiche’ sono gli unici a conoscerla per quanto li riguarda) e soprattutto acquisiscano le registrazioni dei cellulari di tutti i passeggeri del volo tra le 20,05 e le 21,00. Come cittadino del XXI secolo (dopo Cristo, qui sta il punto) esigo che venga fatto in modo che la totale assenza di soccorsi ai passeggeri di un aereo per più di un’ora, quale che ne sia la ragione, non accada più. Se qualcuno non avesse potuto camminare con le sue gambe, sarebbe rimasto ferito nel buio sotto la pioggia su una pista per un’ora. Quale differenza con un atterraggio di fortuna nel deserto?”.

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Alessandro Avico