AUSTIN – Negli anni ’70 fu l’uomo sandwich a suscitare lo sdegno di benpensanti e critici e ora, nel ventunesimo secolo, è la volta dell’uomo antenna. Neonata figura che ha fatto scomodare persino qualche teologo per dire “no, non è giusto, così la dignità umana non viene rispettata”. Insomma, per dirla cruda, la questione è: se metto un’antenna in testa a un “barbone” (il politicamente corretto consiglia di definirlo homeless) lo sfrutto e lo umilio oppure lo aiuto e faccio in fondo beneficenza o quasi? La notizia è che quell’antenna in testa l’hanno davvero messa a tredici senza tetto, un’antenna wi-fi. E dove l’hanno fatto? Negli Usa e dove altrimenti?
Teatro della vicenda è la fiera dell’high tech di Austin, Texas. Qui gli organizzatori, vuoi per pubblicità o vuoi per reali difficoltà legate alla volontà di centinaia di utenti di collegarsi alla rete, hanno deciso di ingaggiare tredici senzatetto e trasformarli in uomini antenna. Nulla più in realtà che l’evoluzione dei vecchi uomini sandwich. I senzatetto che si sono detti disponibili sono stati dotati di un ripetitore di segnale 4g e di una maglietta su cui era scritto il loro nome e la password di accesso tramite il loro hot spot. Per questo lavoro i tredici hanno ricevuto 20 dollari al giorno più le offerte, libere e volontarie, di chi attraverso di loro si connetteva. Offerte fatte attraverso Paypal, il sistema di pagamento elettronico, siamo pur sempre nel terzo millennio. Tariffa consigliata: due dollari per un quarto d’ora di connessione.
Questa trovata ha scatenato un vespaio di polemiche persino nei tolleranti Stati Uniti: Tim Carmody, un blogger che scrive per Wired, ha descritto l’iniziativa come “assolutamente problematica”, tanto da “sembrare uscita da una sinistra distopia di satira fantascientifica”. Sul blog della Bbh Labs, l’azienda autrice dell’iniziativa, un daytrader ha scritto di essere entusiasta dell’iniziativa, salvo poi lamentarsi del fatto che “l’hotspot senzatetto non sta fermo un attimo e mi ha fatto perdere tutte le mie transazioni!”. “È inaccettabile la trasformazione dell’essere umano in pura infrastruttura tecnologica” ha tuonato Susan Brooks Thistlethwaite, studiosa di teologia che lavora come analista al Center for American Progress, celebre think tank della sinistra liberal americana, dalle colonne del Washington Post. E via ad andare nel coro di critiche. La vicenda è variamente narrata sulle pagine del Corriere della Sera e de La Repubblica, entrambe cronache che incrociano e mescolano nel racconto l’originalità dell’applicazione tecnologica e il dubbio sociologico-etico.
Ma cosa c’è di ingiusto, di inumano nell’esser pagati per fare l’antenna? Lavorare in una catena di montaggio è forse diverso? Stare appesi fuori da una finestra di un grattacielo per pulire il vetro nobilita l’animo più tenere in tasca un ripetitore di segnale? Si tratta di lavoro. Se i senzatetto non fossero stati pagati, se fossero stati obbligati sarebbe stato diverso. Ma non è così. Tanto è vero che gli stessi uomini antenna non si sono affatto sentiti sfruttati o feriti nella loro dignità. Uno di loro, Clarence Jones, 54 anni, ha raccontato di essere originario di New Orleans ed essere diventato senzatetto nel 2005, in seguito all’uragano Katrina. “La gente pensa che io sia stato sfruttato, ma a me non sembra”, ha detto. “Mi piace parlare con la gente, e si è trattato comunque di lavoro. Un’onesta giornata di lavoro retribuito”.
E’ ovvio che paragonato al lavoro di analista finanziario, confrontato con giornate trascorse tra coffee break e riunioni, viaggi in aereo e pranzi di lavoro, quella dell’uomo antenna può esser letta come una giornata di sfruttamento. Ma non tutti i lavori sono così. Anzi lo sono molto pochi. Fare la cassiera o il metronotte, l’autista o l’operaio non è molto diverso dall’uomo antenna. Lavorare non sempre può essere un piacere, ma c’è sicuramente molta più dignità nel fare l’uomo antenna che nell’essere costretti a chiedere l’elemosina o nel fare la fila alla mensa dei poveri.