ROMA _ Antonio Azzalini, il dirigente Rai dalla Rai licenziato perché aveva fatto a milioni di italiani lo scherzetto di anticipargli la mezzanotte del Capodanno a fin di…audience? Antonio Azzolini docet, la sua vicenda insegna, ancora una volta, che nel paese del secco, condiviso, reclamato, esaltato, voluto e benedetto e sacrosanto “Chi sbaglia paga!” c’è però un codicillo, un emendamento, altrettanto secco, condiviso, reclamato, esaltato, voluto, benedetto e sacrosanto. Che così suona e risuona: “Se non è amico mio…”.
La granicità del “Chi sbaglia paga!” con tanto di punto esclamativo si squaglia e decompone e svanisce e sfuma se chi deve “pagare” è “amico mio”. Come le leggi della robotica di Asimov non possono che convivere, convivono nella stessa persona, l’italiano medio, tipo e standard, sia colui che reclama e pretende come atto di giustizia, ordine e governo il “Chi sbaglia paga!”, sia l’italiano avvocato, cantante, calciatore, imprenditore, operaio, studente, manager, massaia… che pratica l’emendamento “per l’amico non vale” e lo applica ovviamente e rispettivamente agli avvocati, cantanti, calciatori, imprenditori, operai, studenti, manager, massaie…Solo che le leggi della robotica non litigano tra loro. Quelle del chi sbaglia paga, ma se è amico mio invece tra loro litigano eccome. Ma così è la realtà e non si litiga con le notizie.
Quindi apprendiamo dalle cronache del Corriere della Sera che un campione del Chi sbaglia paga quale Giuseppe Cruciani, noto feroce critico dei costumi accomodanti della varie Caste, esprime massima solidarietà e protesta. Solidarietà al licenziato e protesta contro la Rai. E il chi sbaglia paga? Magari un’altra volta. Allibiti, costernati e in protesta anche Carlo Conti, Flavio Insinna, Massimo Ranieri. Insomma il mondo Rai e il mondo della televisione applica alla grande l’emendamento “Chi sbaglia paga, ma se è amico mio…”.
Perché che ci sia stato sbaglio non lo nega nessuno, neanche Azzalini. Al Corriere della Sera dice: “Ho dato la vita, mi cacciano come un cane…c’è gente con addebiti più gravi di me…”. Insomma il consueto menù di argomenti dell’autodifesa standard: il sacrificio sul lavoro invocato come attenuante o addirittura esimente (ma il lavoro è sempre sacrificio?), il “benaltrismo” come chiamata di correità generale in modo che scatti il tutti colpevoli di qualcosa nessuno responsabile di niente e infine l’accomodarsi con naturalezza nel ruolo di vittima (a dire il vero il vestito da vittima all’uomo/donna del caso lo portano sempre già confezionato i mass media). Nulla per carità di specifico e concreto sul fatto o non fatto. Si rischia di pregiudicare le vie legali e gli esiti dei ricorsi contro il licenziamento.
Abbia Azzalini tutta la giustizia che il suo caso richiede in qualunque sede. E non è Azzalini l’oggetto primo dell’amaro che c’è in questa storia. L’amaro non è Azzalini che si difende, l’amaro e il mesto, il triste e il misero è l’alto numero di quelli che amano riempirsi la bocca, anche mentre conducono in tv e in radio, del chi sbaglia paga. Si atteggiano a fieri custodi della regola prima e a vendicatori di chi non la applica, in primo luogo indicano come traditori i politici. Beh, fingono, al dunque privilegiano scelgono, predicano e praticano il paga chi sbaglia ma solo se non è amico mio, se è amico mio non dicevo davvero. L’amaro della storia sono loro.