NEW YORK – Una questione senza soluzione da più di mezzo secolo che potrebbe cambiare radicalmente in soli quattro giorni: è la questione israelo-palestinese. Il leader palestinese Abu Mazen ha fatto sapere di aver intenzione di chiedere ufficialmente alle Nazioni Unite il riconoscimento della Palestina come stato membro. Riconoscimento che non significherebbe semplicemente un cambio di status giuridico, ma che porterebbe innumerevoli conseguenze politiche e pratiche. La richiesta ufficiale ancora non è arrivata, Abu Mazen esporrà le sue posizioni all’Assemblea dell’Onu venerdì (21 settembre ndr) e solo dopo di allora consegnerà la lettera, che afferma essere già pronta, al segretario Ban Ki-moon.
Spazio per la diplomazia che quindi è ora ridotto all’osso, solo poche ore per evitare che la richiesta diventi realtà con tutte le relative conseguenze. Perché conseguenze ce ne saranno anche se la richiesta venisse bocciata, il primo nodo è se la richiesta palestinese sarà ufficialmente formulata o meno. Un azzardo quello palestinese che rischia quindi di gettar sale su una ferita aperta come la questione mediorientale.
Da un punto di vista formale il tentativo dell’Autorità nazionale palestinese (Anp) di ottenere dall’Onu lo status di «Stato membro» inizierà venerdì con l’invio da parte del presidente Abu Mazen di una lettera al Segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon nella quale affermerà che la «Palestina» – questo il nome prescelto – è uno Stato «che ama la pace e accetta la Carta dell’Onu». Abu Mazen ha preannunciato, sul volo in arrivo a New York, che illustrerà i contenuti della richiesta nel discorso dal podio dell’Assemblea Generale e dopo la recapiterà a Ban, a cui spetterà di esaminarla prima di inviarla al Consiglio di Sicurezza, che decide l’ammissione di nuovi Stati.
Già la sola presentazione della richiesta potrebbe però aprire scenari imprevedibili. Se l’Anp chiederà all’Onu di essere ammessa come stato membro, gli accordi di Oslo del 1993 diventeranno carta straccia, aprendo la via ad una nuova escalation di violenza nella regione e, forse, ad una quarta intifada. Gli accordi di Oslo, siglati da Yitzhak Rabin e Yasser Arafat sotto l’egida di Bill Clinton, prevedono infatti l’impegno di israeliani e palestinesi a raggiungere l’obiettivo dei «due popoli e due Stati» in «pace e sicurezza» procedendo «attraverso negoziati». E un passo unilaterale, come la richiesta di ammissione all’Onu, cancellerebbe di fatto gli accordi del 93.
A scongiurare la richiesta di Abu Mazen lavorano prima di tutto quindi le diplomazie internazionali. Ma è un compito non semplice. Protagonisti delle febbrili trattative Tony Blair, inviato del Quartetto, il Segretario di Stato americano Hillary Clinton, l’Alto rappresentante europeo Lady Ashton, il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov e il Segretario generale dell’Onu assieme a ministri di Anp e Israele, nel tentativo di redigere un testo capace di far ripartire da subito il negoziato, arenato da oltre un anno, spingendo l’Anp ad accettare un successo politico in cambio della rinuncia della richiesta all’Onu. Il premier israeliano Benjamin Netanyahu incalza, e si è detto «interessato» a incontrare Abu Mazen direttamente all’Onu. Cruciale è il ruolo di Mosca, che sulla carta è la più vicina all’Anp.
Un negoziato assai difficile che dovrebbe tentare di risolvere in poche ore i nodi che da 12 mesi paralizzano le trattative: Israele non è disposta a riconoscere allo Stato palestinese i confini antecedenti il giugno 1967 come Abu Mazen chiede, l’Anp non vuole riconoscere Israele come «Stato ebraico» e non vi sono intese né sullo status di Gerusalemme né sul diritto al ritorno dei profughi palestinesi del 1948. Il possibile compromesso a cui il Quartetto lavora è concordare con l’Anp il testo di una risoluzione dell’Assemblea Generale accettabile anche da Israele, ovvero senza riferimento ai confini.
Gli inviati Usa Dennis Ross e David Hale hanno proposto ad Abu Mazen una risoluzione capace di assegnare all’Anp «attributi di Stato senza la sovranità» al fine di evitare l’adesione al Tribunale penale internazionale che consentirebbe di denunciare Israele per «crimini di guerra», o di essere denunciati da Israele per lo stesso reato aprendo un contenzioso giuridico rovente. La risposta di Abu Mazen, giunta ieri, quando ha detto che «oramai è troppo tardi» visto che la lettera a Ban è in arrivo, non lascia però molto spazio alla diplomazia.
Se il Quartetto non riuscirà a impedire il passo di Abu Mazen, allora si aprirà la partita dei voti. Al Consiglio di Sicurezza infatti gli Stati Uniti dispongono del diritto di veto ed hanno minacciato di farvi ricorso per bloccare la richiesta palestinese ma la Casa Bianca non vorrebbe adoperarlo per evitare attriti con il mondo arabo. Da qui i tentativi per riuscire a far mancare il sostegno di almeno 7 dei 15 Paesi membri del Consiglio di Sicurezza, perché ciò significherebbe respingere il testo senza dover opporre il veto. Washington conta sul «no» di Francia, Gran Bretagna, Colombia, Germania e Portogallo, con la Bosnia in bilico, ma Parigi e Londra ancora non si sono pronunciate perché l’altra questione aperta è l’assenza di una posizione coesa dell’Ue, dovuta anche al fatto che al momento manca il testo definitivo della richiesta dell’Anp. Ma nel Consiglio di Sicurezza non mancano posizioni a favore del riconoscimento della Palestina: Sud Africa, Libano, Nigeria, India, Gabon, Brasile, Cina e Russia sono infatti orientati per un si all’eventuale richiesta.
E se Washington dovesse riuscire a bloccare la strada del riconoscimento come «Stato membro», per l’Anp si aprirebbe comunque un’altra possibilità: quella di chiedere all’Assemblea Generale lo status di «Stato non membro», come il Vaticano. L’approvazione di una tale risoluzione è più “semplice”, richiede infatti un quorum di due terzi dei 193 Stati membri, ovvero 129 favorevoli, e i delegati palestinesi all’Onu hanno fatto circolare la lista di 127 nazioni che hanno già promesso il «sì».
Ciò significa che questo risultato è a portata di mano, anche se raggiungerlo al prezzo di una crisi di rapporti con Usa ed Europa, senza contare l’abbandono di Oslo e il collasso dei rapporti con Israele, potrebbe rivelarsi un prezzo molto alto per Abu Mazen che in questa battaglia si trova contro anche i leader di Hamas. Da Gaza lo accusano di «voler tradire il popolo palestinese legittimando Israele» perché dichiarando lo Stato nei confini del 1967 si rinuncia ai territori su cui Israele fu creato nel 1948.
