ROMA – Un lavoro, pure ben pagato, e una buona conoscenza dell’inglese. Dal 2021 saranno i requisiti indispensabili per chi, dall’Europa, vorrà andare a lavorare oltremanica nella Gran Bretagna post Brexit. Un sistema mutuato da quello australiano con cui il 70% di quelli che in passato si sono trasferiti non avrebbero potuto farlo. Non una sorpresa visto che uno degli slogan dei brexiters era meno lavoratori stranieri e più lavoratori britannici.
E l’Europa che fa? Se queste, anzi visto che queste saranno le regole cui dovranno sottostare gli europei che vorranno andare a Londra, quali regole metterà Bruxelles per chi vuol venire a Parigi, Madrid, Berlino o Roma? C’erano una volta i giovani europei che andavano in Gran Bretagna per imparare l’inglese, mantenendosi facendo i camerieri e i lavapiatti, e per trovare magari un buon lavoro. C’erano e non ci saranno più.
Annunciato infatti il sistema a punti che a partire dal prossimo anno chiuderà la porta a chi non sa parlare inglese e non è sufficientemente qualificato. Un sistema con cui, stima il Migration Advisory Committee (MAC), circa il 70% dei cittadini europei che sono arrivati in Gran Bretagna dal 2004 non avrebbero potuto beneficiare del visto. La “priorità assoluta” del sistema sarà dunque quella di dare l’ingresso “alle persone più qualificate e talentuose”.
Le offerte di lavoro per gli immigrati dovranno garantire uno stipendio superiore alle 25.600 sterline (30.800 euro). L’annuncio è fresco ma la sostanza decisamente meno. Al netto delle proteste di alcuni settori dell’economia britannica che prevedono future difficoltà a reperire manodopera, che questa fosse la ratio e il destino della Brexit era ed è cosa nota e arcinota. Meno nota, anzi ignota è invece la reazione, o più laicamente la politica che deciderà di adottare Bruxelles nei confronti degli immigrati britannici.
Le cronache raccontano che gli scandinavi sono pronti a chiudere un occhio in cambio di concessioni sul fronte pesca, la Spagna ha come obiettivo la sovranità su Gibilterra o almeno sulle sue acque mentre la Grecia è tornata a chiedere niente meno che il fregio del Partenone conservato al British Museum. Nessuno notizia circola invece su cosa l’Europa insieme chiederà ai cittadini di sua maestà per entrare e lavorare nel territorio dell’Unione. Secondo un principio di reciprocità dovrebbe, dovremmo noi europei imporre regole simili.
Evidentemente non legate alla lingua che, nell’Unione, unica non è. Ma certo sul fronte qualifiche e reddito si potrebbero e dovrebbero imporre limiti simili. Tra l’altro nel Vecchio Continente problemi di reperimento della manodopera senza i britannici non ce ne sarebbero. Quello che però è certo è che una pagina di storia si è chiusa e la frontiera nella Manica ne è la reificazione. Non quella dei giovani camerieri italiani, spagnoli e tedeschi che cominciando con un vassoio in mano finivano per inserirsi nella società britannica. Ma quella di un’Europa senza confini, unita, dove persone, merci e idee potevano e dovevano muoversi libere. Era un’idea nata dalle ferite e dal sangue di due guerre mondiali. Era.