ROMA – Moda effimera o rivoluzione, infatuazione in salsa radical-chic o vagito di una coscienza ambientale? Nel Decreto Ambiente trova spazio, tra le altre misure, lo sconto per la vendita dei prodotti sfusi. Sconto mirato ad incentivare un commercio più sostenibile e meno inquinante, riportandoci ad un passato nemmeno troppo lontano. Se sarà una moda passeggera o l’inizio della fine di un modello di commercio che ci ha cambiato la vita, in meglio e in peggio, lo dirà il tempo.
Tra gli incentivi alla rottamazione delle auto più inquinanti e la promozione del trasporto scolastico sostenibile, nella bozza del decreto legge sull’ambiente compare il contributo alla vendita di prodotti sfusi come saponi, pasta, acqua e via elencando ed immaginando. “Al fine di ridurre la produzione di imballaggi per i cibi e prodotti detergenti – si legge -, per gli anni 2020, 2021 e 2022 è riconosciuto un contributo pari al 20% del costo di acquisto di prodotti sfusi e alla spina, privi di imballaggi primari o secondari”. Sconto destinato agli acquirenti finali, cioè chi fa la spesa, e che avrà un tetto di finanziamento a 10 milioni di euro l’anno. L’idea è quella di disincentivare l’uso di imballaggi e confezioni varie, eliminando l’inquinamento che da questi deriva direttamente e indirettamente.
Limando cioè i 2,1 milioni di tonnellate di plastica usate per gli imballaggi che ogni anno vengono utilizzate in Italia, di cui secondo i dati Wwf il 76% dal settore Food & Beverage, ma anche l’inquinamento indiretto che deriva dal trasporto e dalla lavorazione degli imballaggi stessi. Un piccolo ritorno al passato, che i meno giovani forse ricorderanno direttamente e di cui molti hanno sentito i racconti delle nonne.
Prima del boom economico degli anni ’60 la vendita di prodotti sfusi (quindi anche cibi) era la norma. Fu la nascita dei primi supermercati all’americana e la comparsa delle pubblicità in tv ad iniziare gli italiani al gusto per i prodotti di marca e per i grandi supermercati dove trovare tutto e trovarlo ben ordinato negli scaffali in confezioni tutte uguali. Prima di allora in Italia, dalla frutta all’olio, dal vino alle sigarette, tutto si vendeva sfuso, incartato non nella plastica ma nella carta oleata, mentre i liquidi finivano nelle bottiglie che ci si portava da casa. Di vetro. Poi arrivò la società dei consumi, un nuovo modello cui tendere e piano piano la vendita sfusa fu messa all’angolo, relegata a commercio tra poveri, tra chi non si poteva permettere la novità, sino di fatto a sparire.
Ora, con la crescente attenzione di cittadini e famiglie per l’ambiente e per l’ormai evidentemente insostenibile costo economico ed ambientale del packaging, sta tornando. E lo Stato prova ad incentivare la tendenza. Una tendenza che va però calata nella realtà di 60 anni dopo, del commercio globale e della spesa on line. Senza questo la tendenza rimarrà moda passeggera e/o confinata ad un nicchia di consumatori. E in questo senso sono di buon auspicio gli incentivi al trasporto a domicilio di prodotti che compaiono, anche loro, nella bozza del decreto. Un modo per non sfavorire un modo di fare acquisti sempre più diffuso.
Di buon auspicio ma non sufficienti, come troppo pochi sono i 10 milioni annui stanziati. E poi il disincentivo all’uso della plastica andrebbe coniugato ad una più accorta gestione dei rifiuti e dell’ambiente tutto. Ma, come si dice, non si può avere tutto e da qualcosa bisogna cominciare. E allora questo qualcosa, moltiplicato per la volontà del 44% degli italiani (studio Coldiretti) che si vuole impegnare nella lotta al cambiamento climatico anche riducendo gli acquisti di prodotti con imballaggi eccessivi, può diventare una forza in grado di trasformare il nostro modo di fare e pensare la spesa.