ROMA – Un colpo riuscito, e sottovalutato, ed uno mancato. E’ questo il bilancio delle norme tese a combattere l’evasione in Italia del governo Monti. Lo stesso premier nella sua conferenza stampa di presentazione del decreto “Salva Italia” aveva voluto dire: “Crediamo di aver fatto qualcosa di incisivo in materia, contro l’evasione sono state prese misure serie”. A guardare la manovra, qualcosa di serio c’è davvero, qualcosa però manca ancora. La “lettura” dei conti correnti degli italiani da parte del fisco, con relativi movimenti, nonostante sia stata sottovalutata, in particolare dai media, è una misura nuova, importante e probabilmente efficace. Si poteva fare di più, certo. Infatti a fronte di una misura riuscita ce n’è un’altra che somiglia ad un’occasione persa: la deducibilità delle fatture, il colpo mancato.
Rendere automatica e obbligatoria la comunicazione dei movimenti bancari all’erario ogni anno è senz’altro una novità importante, forse epocale, nell’eterna lotta tra lo Stato e gli evasori. Sino a ieri il fisco aveva la possibilità di “sbirciare” i conti correnti degli italiani solo nel caso che ci fossero sospetti su un determinato contribuente. Ora, invece, i conti corrente verranno vagliati “a prescindere” e, qualora dalla movimentazione bancaria dovessero emergere rilevanti movimenti appunto di denaro, allora scatta allarme e spia. Il fisco “vede” molto denaro che circola, si allerta e quindi passa al controllo. Non serve né un economista né un finanziere per capire che è una sorta di rivoluzione copernicana nella lotta al sommerso. Berlusconi, che sovente ha alzato barricate contro lo “stato di polizia tributaria”, anche di fronte ad ipotesi di misure molto più blande, non ha avuto nulla da obiettare, almeno pubblicamente. E la cosa è passata, se non sotto silenzio, almeno con un basso profilo. Val la pena di ripetere: non si segue più un supposto evasore e poi si va a vedere quanto denaro movimenta sul suo conto. Si segue il denaro, anche se questo non ha ancora nome e cognome. L’accertamento può partire dalla traccia lasciata dai soldi e non dalla episodica verifica che parte dalla bottega o dallo studio professionale.
Che per smascherare gli evasori, o almeno tentare di farlo, la via maestra fosse “vedere” i loro movimenti bancari sembra un’ovvietà. Ma nonostante questo sino ad oggi in Italia la via maestra non era stata mai percorsa, vuoi per indolenza vuoi per altro, preferendo percorsi alternativi e più tortuosi. Dichiari 10 e versi in banca 100, evidentemente c’è qualcosa che devi spiegare. Questa la semplice logica che anima la novità introdotta dal governo Monti. Una norma che, una volta tanto, sembra andare nella giusta direzione e che metterà, verosimilmente, in imbarazzo più di un correntista. Questo è il colpo riuscito. Quasi riuscito per la verità, quasi perché resta troppo basso il numero dei controllori.
Purtroppo però, come saggezza insegna, ogni medaglia ha il suo rovescio, che in questo caso definiremo il colpo mancato. E il colpo che non è andato a segno è la mancata introduzione della deducibilità delle fatture dal reddito. Tutti noi ci siamo imbattuti nel classico idraulico, elettricista o meccanico che ci ha posto di fronte alla fatidica questione: “Sono 1200 euro con la fattura, o 1000 senza”. Anche al netto di chi non paga le tasse per abitudine, quelli che opteranno per i 1000 senza fattura sono molti, probabilmente la maggioranza. Il cittadino medio che guadagna sui 1500 euro netti, comprensibilmente, sceglierà di risparmiare 200 euro. La fattura, oltre all’onestà, non ha nessun altro appeal. Rendere deducibili questo tipo di spese avrebbe innescato un sistema virtuoso. Avrebbe cioè dato un motivo al cittadino fruitore del servizio per chiedere la fattura eliminando la differenza di costo e, così facendo, avrebbe automaticamente obbligato il “fatturante” a dichiarare i propri lavori e i propri profitti, con relativo guadagno per il fisco.
Chiaro è che, con la possibilità di dedurre le fatture, si sarebbero dovute introdurre anche limiti e sanzioni affinché i più furbi non cominciassero a dedurre anche spese fantasiose o false, e pene più severe per tutti quei lavoratori che la fattura avrebbero voluto continuare a non farla. Un’articolata proposta in materia si legge sul Corriere della Sera firmata da Alberto Brambilla, presidente del Nuclei di valutazione spesa previdenziale. Proposta che si può così riassumere: l’Iva su alcune prestazioni (riparazioni auto, moto, elettriche, idrauliche, tappezzeria, imbiancatura, mobili, idrauliche…) viene ridotta per un paio di anni al cinque per cento. Chi si fa dare la fattura su simili prestazioni può dedurre dalle tasse fino a 5.000 euro ogni anno. Pagherà quindi 250 euro in più di Iva facendosi dare la fattura, il 5% di 5.000. Ma recupererà 1,417 euro dalla deduzione supponendo paghi le tasse, l’Irpef, ad aliquota marginale del 27 per cento, quella su redditi bassi. Così chi chiama l’idraulico e lo paga facendosi fare fattura Iva guadagna circa mille euro l’anno, l’idraulico un po’ di tasse le paga, non il 21 per cento, ma almeno il cinque di sicuro e lo Stato non ci rimette, anzi. L’Iva al 21 per cento è la tassa più evasa, quella al cinque diventerebbe la meno evasa perché tutti i cittadini-clienti vigilerebbero perché sia pagata.
La deducibilità, il “colpo mancato”. La pista dei soldi e la stretta sull’utilizzo dei contanti, i colpi messi a segno o almeno in canna. Bicchiere mezzo vuoto? Se il “bicchiere” è lo standard del contrasto all’evasione fiscale nel nostro paese, il bicchiere è mezzo pieno.