ROMA –All’inizio nelle cronache su carta e in tv e anche sul web fu un “chiosco”. Ma non era un chiosco quello da cui “Gastone” sparava e nel quale cercava di sparire dopo aver sparato. E neanche come pure fu a lungo nelle cronache un “vivaio”. E’ una sorta di gigantesco “Centro sociale” neo fascista sorto e cresciuto su suolo pubblico. E’ e dovrà, dovrebbe, smettere di esserlo. Perché abusivo, almeno dal 2011. “Club Boreale”, “Trifoglio”, “Ciak”, sono tanti e diversi i nomi con cui vengono identificati i 30 mila metri quadrati che sono la casa di Daniele De Santis e il retroterra dove le violenze e gli spari di sabato scorso sono maturati. Un pezzo di terra a due passi dallo stadio Olimpico e dalla “movida” di Ponte Milvio da anni abbandonato e da anni occupato dall’estrema destra romana.
Uno spazio enorme dove hanno trovato casa realtà differenti: dall’associazione di assistenza ai disabili sino al club che affitta campi di calcetto, passando per il bar simbolo del partito dell’ultradestra ipercattolica del “Popolo della vita”, per arrivare al bunker di De Santis fatto di celtiche e memorabilia del ventennio. E ancora: un campo di extreme paintball, cioè attrezzato per giocare alla guerra sparandosi pallottole di vernice. Un fascio (mai parola fu più calzante) di iniziative e strutture che ora sarà abbattuto, demolito e riconsegnato ai legittimi proprietari. Non come conseguenza del tentato omicidio degli ultras napoletani da parte di De Santis e, pare, soci-camerati. Ma perché è dal 2011 che sentenza della magistratura alla mano, il pluri-simil Centro Sociale dell’estrema destra doveva sgombrare. Il Comune del sindaco Alemanno aveva sempre trovato il modo di dimenticare la pratica.
“Siamo in attesa dell’avvio delle opere di demolizione – dice l’assessore allo sport Luca Pancalli – e, quindi, dello sgombero da parte del XV municipio. Si stima che i legittimi proprietari possano rientrare in possesso del terreno entro la prima decade di giugno, salvo l’esito positivo di tutti gli accertamenti burocratici richiesti”.
‘Salvo burocrazia’ è una formula che in Italia, e a Roma, lascia aperto qualsiasi tipo di scenario, da quello che davvero porti ad una rapida demolizione sino a quello che tutto rimanga invariato per anni. Ed è infatti da almeno 3 anni che quel pezzo di verde romano è impropriamente occupato e gestito.
Risale infatti al 2011 la sentenza del Consiglio di Stato con cui i giudici accolsero il ricorso della società “Real Fettuccina”, vincitrice del bando per la gestione dei terreni e inflissero una maximulta al comune imponendo al Campidoglio di liberare immediatamente l’area. L’ordinanza, però, si impigliò in una rete di controlli tecnici e lungaggini burocratiche di ogni tipo e gli abusivi continuarono, tranquillamente, a gestire le loro attività e ad abitare nelle baracche infischiandosene della sentenza.
Controlli e lungaggini figlie anche della vicinanza tra gli occupanti e gli allora governanti della regione e del comune. Francesco Storace, Renata Polverini e Gianni Alemanno erano e sono esponenti di quella stessa destra che, in altre forme, trova espressione in “Danielino” De Santis e nella lista “Il popolo della vita” che al centrodestra laziale e romano ha portato in più occasioni voti.
Ora però l’aria politica nella Capitale e nel Lazio è cambiata e, cosa più importante, dai quei 30 mila metri quadri sono saltate fuori le pistole. “La pistola ce l’aveva — sostiene Mario Corsi, ex militante dei Nuclei Armati Rivoluzionari, voce delle radio romane a lungo sospettato e accusato di aver preso parte all’uccisione di un “compagno” — per difendere i bambini della scuola calcio dagli zingari”. Quale che fosse la ragione, Danielino, come lo chiama Marione, la pistola la teneva insieme ai manganelli, alle immagini del Duce, ai post inneggianti alla violenza e ai racconti delle sue “bravate”.
Racconta Repubblica con l’articolo di massimo Lugli: “Quello che il presunto sparatore di sabato scorso rinchiuso a Regina Coeli non dice o non vuole dire su di sè, lo raccontano le foto che ha pubblicato sul suo profilo Facebook, prima che qualcuno lo cancellasse. Nickname “Danny annibal smit”, sottotitolo: boia chi molla. Gastone lo ha riempito di post che la sua mente da ultras ha continuato a partorire anche quando in curva non andava più, tipo “spaccarotella pezzo di merda, ti ucciderà la giustizia divina”, oppure “a morte tutte le guardie”. “Danielino ha chiuso da tempo con lo stadio — sostiene Marione – vive in una baracca nel circolo sportivo Boreale con i suoi tre cani”.
E Marione è una vecchia conoscenza di Daniele. Facevano parte del gruppo dei Boys, di cui Corsi è stato uno dei leader anche se poi ne è stato allontanato da Paolo Zappavigna, parente del più noto Guido, nome noto dei Nar. Ed entrambi condividono un passato nero, e profondo. Prima di essere ultras, sono infatti fascisti.