De Santis sparò ferito, Bifolco no alle spalle: Ciro e Davide vittime, non eroi

Davide Bifolco

ROMA – Vittime di sicuro, ma eroi non si direbbe proprio. Ci sono, nelle storie di Ciro Esposito e Davide Bifolco, molti punti in comune. Il primo, evidente, è la tragicità rappresentata dalla fine, prematura e violenta, di questi due ragazzi. La seconda, altrettanto evidente ma meno scontata, è la santificazione che di questi è stata fatta. In larga parte dal mondo loro più prossimo, ma comunque se non condivisa almeno non contrastata dall’opinione pubblica in genere. Una mistificazione. Ciro e Davide sono infatti certo due vittime, ma degli eroi non hanno nulla.

Partiamo da Ciro, il tifoso napoletano ucciso da un colpo di pistola prima della finale di coppa Italia.

L’impatto mediatico – scrive Michele Brambilla su La Stampa – è enorme, anche perché milioni di italiani assistono attoniti alla miserabile commedia che va in scena all’Olimpico, dove calciatori, allenatori, dirigenti sportivi e ahimè anche forze dell’ordine sono tenuti sotto scacco da alcuni avanzi di galera che dalla curva dettano i tempi su quando – e se – cominciare a giocare. In ogni caso la commozione per la morte del giovane tifoso del Napoli è grande, come è giusto e comprensibile che sia. Meno giusta e comprensibile è però l’immediata santificazione. A Scampia – un posto dove non tutti hanno le carte in regola per chiedere giustizia – vengono celebrati i funerali al grido appunto di «giustizia!», e con grande esibizione di cartelli ‘Ciao eroe’, rivisti poi più volte anche negli stadi. E questa è l’emotività: reagire d’istinto senza aspettare di sapere come sono andate davvero le cose. Infatti, l’altro ieri una perizia del Racis dei carabinieri si conclude affermando che De Santis, l’uccisore di Esposito, ‘fu vittima di un tentato omicidio’ e sparò solo dopo essere stato già ferito, forse a coltellate. De Santis resta quello che è, tutt’altro che un gentleman, ma se così fossero andate le cose, si potrebbe perfino pensare a una legittima difesa. Stiamo dicendo che Ciro Esposito se l’è meritata? Ovvio che no. Ma possiamo dire quel che tutti sanno, e cioè che erano in corso scontri fra tifosi? Magari Esposito in quegli scontri non c’entrava nulla ed era lì per caso: ma allora possiamo dire che è una vittima, ma gli ‘eroi’ sono un’altra cosa?”

Passano quattro mesi scarsi dai fatti di Roma e un’altra morte colpisce Napoli, i napoletani e l’opinione pubblica in genere: la morte di Davide Bifolco. Qui, paradossalmente, il 17enne napoletano viene santificato anche più rapidamente. E questo perché ad ucciderlo non è stato un poco di buono come De Santis, ma un carabiniere. Ma anche qui, nonostante nessuno o quasi lo dica, il corto circuito si ripete. Racconta ancora Brambilla: “Anche qui: come si fa a non avere pietà di un povero ragazzo che muore a 17 anni? Però un conto è la pietà, un altro è dare per scontata la versione dei fatti gabellata per vera dagli amici di Davide, e cioè che un carabiniere killer gli ha sparato alle spalle: così, per il gusto di accopparlo. Versione che ha dato il pretesto, a molti abitanti del quartiere, di assaltare e bruciare per giorni e giorni le auto di polizia e carabinieri. E versione del tutto falsa, visto che l’altro ieri sono arrivati i risultati dell’autopsia e anche i consulenti della famiglia Bifolco dicono che il colpo è stato esploso di fronte, esattamente come aveva detto il carabiniere”.

Secondo La Stampa è il “timore che impedisce di dire quello che tutti pensano, e cioè che se a Cuneo vai in tre su uno scooter ti fermano e ti sequestrano il motorino. A Napoli invece non solo si può andare in tre, ma ci si può andare senza casco; e se non ti fermi a un posto di blocco i carabinieri – che sono lì perché stanno cercando un latitante, non per sport – devono dirti avanti prego, passate pure e scusate il disturbo. È normale. Così come è normale assistere impotenti alla rivolta di piazza dei giorni seguenti, con le forze dell’ordine che non intervengono e noi che stiamo zitti: solo un prete ha avuto il coraggio di dire che, quando è la camorra ad ammazzare per sbaglio un ragazzo, a Napoli non va in piazza nessuno. Discorsi da vetero leghisti? Tutt’altro. Chi vuol bene a Napoli pensa che, proprio a tutela dei suoi cittadini migliori (la maggioranza) non si deve tacere della piaga dell’illegalità diffusa; e si deve invocare l’intervento dello Stato, non la sua ritirata. Negli Stati Uniti è appena successo qualcosa di simile, e Obama ha deciso che se un poliziotto ha sbagliato pagherà; ma di fronte alle devastazioni e ai roghi non si assiste inermi, si interviene. In Italia invece, come nella ‘Don Raffaé’ di Fabrizio De André, ‘e lo Stato che fa, si costerna s’indigna s’impegna poi getta la spugna con gran dignità’”.

Vittime quindi certamente, ma altrettanto certamente non eroi. O meglio, anzi peggio, “eroi” e “santi” in nome di una sorta di semplificazione di cui il circuito della pubblica opinione e informazione è succube e consenziente. Passi per l’omissione, la rimozione dell’habitat ultras che consente la santificazione del povero Ciro Esposito. E’ già successo e molto più in grande a Roma dove Gabriele Sandri, ultra laziale ucciso dall’agente Spaccarotella, è diventato appunto non solo una vittima da compiangere ma anche e niente meno che un eroe civile da omaggiare. Passo per una certa, anzi massiccia, assoluzione di massa per il mondo ultra del calcio in presenza di una morte.

Ma fare da cassa di risonanza al grido “giustizia” che viene da Napoli, dal rione Traiano, è altra e irresponsabile cosa. Lì per “giustizia” si intende vendetta e ce l’hanno scritto perfino sulle t-shirt stampate per l’occasione. Sulle magliette e sui tatuaggi fatti di fresco: Oggi più di ieri sempre odio per il carabiniere”. Grido “giustizia” innalzato anche dai settanta almeno giovani “ai domiciliari” del quartiere che da una settimana girano liberi perché la polizia nel quartiere non entra più. Grido della famiglia che fin dal primo giorno e senza mai deflettere ha chiesto “giustizia” e ha spiegato che cosa intende “averlo per le mani dieci minuti quel carabiniere”. Ma la famiglia ha l’attenuante del dolore, del lutto. Gli altri, il quartiere, quei ragazzi in processione portano, elevano l’immagine, l’icona di Davide, santo e non patrono del culto dell’illegalità.

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Alessandro Avico