ROMA – Violenza, pornografia e odio. Ne è piena la Rete e ne sono zeppi i social network, Facebook in testa. “Una montagna di merda” – per usare la definizione che Peppino Impastato aveva coniato per la mafia – che quotidianamente viene riversata on-line dalla cosiddetta gente. Troll certo in alcuni casi, cioè pubblicazioni automatiche create ad hoc, ma anche, e non è una piccola percentuale, il peggio che ognuno di noi ha pudore e vergogna di far vedere “dal vivo” ma che nell’anonimato di internet trova il suo sfogo.
Oltre 21 milioni contenenti sesso o nudità, 3.5 milioni relativi alla violenza e 2.5 milioni riguardanti odio o linguaggio inappropriato. Nei primi quattro mesi del 2018 questo è stato quello che il social network più famoso del mondo ha rimosso dai suoi 3 miliardi di bacheche (di però ‘solo’ 2.2 attive, cioè periodicamente aggiornate). Non tutto quello che è stato pubblicato attenzione, ma solo quello che è stato notato e cancellato che, inevitabilmente, rappresenta una parte e non la totalità di questa montagna. Numeri impressionanti di un menù dell’orrore che comprende, al capitolo violenza, anche reati gravi e gravissimi come lo stupro o l’omicidio.
Nello stesso periodo, da gennaio a giugno di quest’anno, sono stati disattivati quasi 600milioni di fake account, cioè falsi profili, e 837 milioni di post considerati spam e quindi rimossi. Un mare megnum dentro cui si trovano a navigare ed operare algoritmi ma anche dei moderni spazzini. Persone che hanno il compito di cercare e rimuovere tutto quello che potremmo definire spazzatura telematica. Un lavoro così pesante per i contenuti a cui si è esposti (il Guardian qualche mese fa dopo un’inchiesta lo definì “il peggior lavoro in ambito tecnologico”) che ha portato alcuni ex addetti ai lavori a far causa a Facebook e Facebook a pianificare un raddoppio delle persone impiegate in questo compito fornendo a tutti un supporto psicologico.
Psicologo che servirebbe però anche e forse di più a chi quei contenuti pubblica, anche perché come dicono i numeri non si tratta di un fenomeno marginale. Fra questi, immagini di abusi su minori, violenza esplicita, propaganda terroristica solo per citarne alcuni. “Dal suo cubicolo negli uffici di Facebook nella Silicon Valley, Scola (l’impiegata in causa con Zuckerberg ndr.) ha assistito a migliaia di atti di violenza estrema ed esplicita”, si legge nei denuncia presentata da un’ex ‘spazzina’ che ha definito questi contenuti ‘tossici’. “In seguito alla costante e non mitigata esposizione a immagini altamente tossiche e disturbanti nel posto di lavoro, Scola ha sviluppato un significativo trauma psicologico e un disturbo da stress post- traumatico”. “I moderatori di Facebook sotto contratto sono bombardati con migliaia di video – ha aggiunto uno dei legali impegnati nella causa -, immagini e dirette streaming di abusi su minori, stupri, torture, suicidi, omicidi e altre bestialità”.