L’AVANA ā Eā un giudice inclemente il tempo. Ne siamo tutti consapevoli, ma lo scopriamo davvero solo vedendo come questo agisce e lavora sul nostro corpo, sul fisico delle persone a noi care e, forse ancor di piĆ¹, sullāimmagine di quelli che sono stati gli eroi, i miti che hanno popolato e colorato la nostra immaginazione e la nostra giovinezza. Rientra appieno, il vecchio Fidel Castro, in questāultima categoria. La categoria degli eroi logorati dagli anni e, nel suo caso, dal potere. āGli eroi sono tutti giovani e belliā scriveva Francesco Guccini in una sua canzone. E tali rimangono nella testa e nella mente di chi li ha conosciuti, almeno sino a quando unāimmagine come quella mostrata ieri fa la sua comparsa per spazzare via il mito.
āMiĀ spari, tantoĀ sarĆ² utile da morto come da vivoā avrebbe, nellāimmaginario popolar rivoluzionario, detto il morente Ernesto Che Guevara al soldato che stava per sparargli in quel lontano ottobre boliviano. Pronunciate o meno, contengono queste parole piĆ¹ di un pezzo di veritĆ . La morte, lāuccisione prematura del āCheā hanno fatto del comandante argentino un mito intramontabile. Buono per lāuso e consumo delle generazioni future. Un mito che il tempo e gli anni non possono piĆ¹ scalfire. Un eroe la cui aureola solo lāabuso della sua immagine che in molti hanno fatto puĆ² offuscare. Ma questa ĆØ unāaltra storia.
Fidel non ĆØ stato ucciso, ha vissuto a lungo e a lungo a tenuto in mano le redini del potere nella sua isola, Cuba. Potere che lo ha spoetizzato e che lui, novello Davide, ha finito col gestire sin troppo fermamente finendo, quasi certamente in buona fede, col fargli tradire quegli ideali rivoluzionari che avevano sospinto il Granma e i suoi barbudos sino alla cacciata del dittatore Fulgencio Batista.
Cāera una volta Fidel, cāera e cāĆØ ancora. Ma oggi, alla soglia dei 90 anni, quello che non cāĆØ piĆ¹ ĆØ il barbuto leader rivoluzionario che, fucile in spalla e in marcia nella giungla, combatteva per liberare la sua terra. Non cāĆØ piĆ¹ lāuomo forte, il leader, il comandante.
Quello che rimane, quello che cāĆØ ancora ĆØ invece un anziano signore come tanti. Imbolsito, sempre barbuto ma di una barba che piĆ¹ che vigore trasmette stanchezza, al limite della trasandatezza. Stessa immagine che la chioma una volta ribelle ora trasmette. Una capigliatura che ora ricorda quella di un uomo che sotto il peso degli anni passa gran parte del suo tempo in un letto, con la testa affossata in cuscino.
Ieri (9 gennaio) lāex “lider maximo” ĆØ ricomparso in pubblico dopo molto tempo. Apparso senza lāabituale uniforme che lāha accompagnato per 5 decenni o giĆ¹ di lƬ. Non era, ĆØ vero, la prima volta che alla verde divisa sostituiva un abbigliamento diverso. Fresche, relativamente fresche, sono le immagine di Fidel in tuta rossa in compagnia dellāamico Hugo Chavez. Ma era una tuta, una divisa da ospedale, da degente. Nellāuscita di ieri era invece Fidel vestito come quello che in veritĆ ormai ĆØ: un anziano piegato dal peso degli anni. Un uomo affaticato che incede aiutandosi col bastone, con le lenti che gli scivolano sul naso e con un giaccone largo, persino troppo comodo. Unica reminiscenza e vestigia del verde passato militare, la sciarpa dello stesso colore.
De senectute…nel terzo millennio un testo cosƬ non potrebbe, non puĆ² piĆ¹ essere scritto. De senectute una ventina di secoli fa era la riflessione sulle fatiche ma anche e soprattutto sul ruolo sociale e storico e culturale della vecchiaia e dei vecchi. De senectute oggi all’epoca dell’immagine, nel tempo dell’eterno presente amputato del passato e mutilato del futuro, potrebbe essere solo il testo di una maledizione, di un’afflizione, di una malattia, la vecchiaia, e non di uno stadio della vita. Ā Quel che i nostri occhi vedono nella foto, quel che anche Mimmo Candito vede e scrive su La Stampa, quel Fidel a 88 anni, non ĆØ un eroe canuto ma un potente ormai impresentabile o quasi in pubblico.