L’onorevole piange: “Ci rubano la pensione”. “Indignones” in Parlamento

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ROMA – Mario Monti ha fatto il miracolo: gli “indignados” popolano ora il Parlamento italiano, sono dentro le Camere e non più solo fuori, ad “assediare” i palazzi del potere. Attenzione però, non sono i ragazzi di Wall Street né quelli di Madrid, né tanto meno quelli di “non paghiamo la vostra crisi”. Si tratta invece di una nuova categoria di indignati, un altro gruppo sociale che si va ad aggiungere a quelle tartassate dalla crisi: i parlamentari. Non tutti ma un discreto battaglione, soprattutto quelli di prima nomina e allontanata, tagliata pensione. Deputati e Senatori che dicono no, non ci stanno, vitalizi e pensioni non si toccano. Quelle loro naturalmente, altro discorso è quello per le pensioni degli altri. Praticamente un incrocio tra gli indignati e i peones, gli “indignones”.

Sono in genere, gli indignones, più pacati rispetto ai loro colleghi che riempiono le piazze e danno fuoco ai bancomat. Saggezza  consiglia loro di tenere un basso profilo, sarebbe difficile spiegare al “popolo” le ragioni della loro protesta, non capirebbe. Questo non vuol dire però che siano meno agguerriti e meno pronti a dar battaglia. C’è chi se la prende con Fini e Schifani «che hanno deciso la stretta all’insaputa di tutti», chi minaccia cause e ricorsi, chi di dimettersi subito per evitare la scure dei tagli, chi tuona contro gli «ex parlamentari» che non pagheranno pegno e chi con il governo che «si è intromesso violando la sacra autonomia delle Camere». Uno schieramento bipartisan quello degli indignones, destra, sinistra e centro. In genere parlamentari non di prima fila, caratteristica che gli consente di sbottonarsi sul tema con meno pensieri.

Ad esser scontenti sono tutti quelli che vedranno cambiare in corsa le regole per la pensione, passando dal 1˚ gennaio al sistema contributivo, cioè quei 350 parlamentari di prima nomina (248 alla Camera e 102 al Senato) eletti nel 2008. Rimasti impigliati nella rete dei sacrifici insieme ai 250 in quiescienza, quelli non più in carica, in procinto di compiere 50 anni e di riscuotere la pensione e che invece dovranno aspettare altri 10-15 anni.

Ma come nelle piazze la resistenza delle forze dell’ordine è forte, anche nelle aule parlamentari l’ordine pubblico, impersonato dai questori, tiene duro e non molla. L’intesa dei partiti con Fini e Schifani è ferrea. Niente lacrimogeni, idranti o manganelli, le battaglie in aula si combattono con le parole. Il Pdl Antonio Mazzocchi, da avvocato, avverte che «se un deputato entrato alla Camera con un diverso regime decidesse di fare causa allo Stato credo che vincerebbe».

«Prima devono dare notizie sui loro possibili conflitti di interesse», tuona la Mussolini che vuole vedere online le dichiarazioni dei nuovi ministri tecnici. «Visto che chiedono sacrifici a noi cominciassero a dire che rinunciano ai 14 mila euro di stipendio dei parlamentari accettando l’indennità di 4 mila euro come ministro». Si stringe il cuore. «I diritti acquisiti non si toccano, ci dovrebbero dare indietro i soldi altrimenti è come se ce li avessero truffati», si lamenta uno dei Responsabili, Maurizio Grassano. E come dargli torto? Uno dei più duri è un altro di Popolo e Territorio, Mario Pepe, convinto che «i prossimi parlamentari saranno solo i ricchi che non avranno bisogno del vitalizio, perché d’ora in poi si prenderanno 900 euro dopo una legislatura, come una pensione sociale. Così si prendono i soldi solo a chi non ha rubato e non si è arricchito».

A sinistra si cerca di mascherare con un velo di pudore la protesta. Il toscano Nannicini: «Dai miei calcoli saranno 1500 e non più 2500 euro, ma vanno bene anche 900, voglio essere uguale ad un metalmeccanico, ma la Camera ci deve versare i contributi figurativi, capito?». Ma ci sono pure i rassegnati e persino qualcuno disposto a vedere ridotti i propri privilegi, come il giovane Rao dell’Udc, «in fondo passare al contributivo è un bene perché mette al riparo da altri tagli…»; o il senatore Della Seta del Pd: «è un passo dovuto ed è patetico l’atteggiamento degli indignati». Indignones si chiamano.

I più turbati dalla riforma sono comprensibilmente quelli del Carroccio. Si sono tanto battuti perché le pensioni non venissero toccate, lasciando il “lavoro sporco” ad un governo tecnico, e ora quel governo vuole toccare le loro di pensioni. Roba da matti. Il leghista Gianluca Pini parla di «una proposta demagogica per indorare la pillola agli italiani che dovranno subire i tagli delle pensioni».

Il problema è talmente serio, e la questione è così sentita in Parlamento che la “strana coppia” Franceschini – Cicchitto ha tenuto a comunicare che «se qualcuno pensa a dimissioni per godere del vecchio sistema del vitalizio, sappia che sarebbero respinte in aula». E il questore del Pd Albonetti ha specificato, per chi avesse voluto far finta di non capire: «avevano messo nel conto le proteste e non si torna indietro, siamo nel giusto. E in ogni caso le dimissioni sarebbero effettive solo nel momento in cui l’aula le dovesse accettare: se avvenisse in gennaio, resterebbero tutti cornuti e mazziati…».

Poveri indignados, sembrano essere in un vicolo cieco. I loro colleghi di mezzo di mondo li attendono a braccia aperte in piazza, una battaglia di democrazia è una battaglia di tutti, è ora che gli indignados portino fuori dai palazzi la loro protesta e le facciano fare un salto di qualità. E ci sarà da ridere.

 

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