ROMA – Chi è più intelligente vive e vivrà più a lungo e, di contro, chi è meno brillante passerà meno tempo su questo Pianeta. Un’ovvietà, forse, se si pensa all’intelligenza come alla capacità di un individuo di preservare meglio la sua vita attraverso buone abitudini e scelte oculate. Ma c’è di più. E lo dice la scienza.
Scienza che vede, per ora ipotizza e i primi studi lo confermano, come ad una maggiore intelligenza corrisponde una maggiore salute ‘a prescindere’, cioè al netto di come l’intelligenza stessa viene usata. Una condizione di migliore salute nata letteralmente insieme all’intelligenza quindi e non da questa prodotta. Altro che più sani e più belli, è il caso di dire: più intelligenti e più sani.
Già altri avevano affrontato la materia e diversi studi sono in corso in giro per il mondo, ma a riportare al centro del dibattito il tema in Italia è lo psicologo scozzese Ian Deary, direttore del Centro per l’invecchiamento cognitivo dell’Università di Edimburgo, ospite del Festival della Scienza Medica di Bologna dove ha illustrato i risultati delle sue ricerche.
“Nel mio intervento di oggi – le parole di Deary – presenterò alcuni dati che provengono dallo Scottish Mental Survey 1947. Un sondaggio condotto il 4 giugno del 1947 in cui quasi tutti i bambini scozzesi nati nel 1936 sono stati sottoposti agli stessi test cognitivi esattamente nello stesso giorno. In totale, il sondaggio ha coinvolto oltre 70mila bambini, e con quei dati io e il mio gruppo abbiamo svolto una ricerca, pubblicata un paio di anni fa sul British Medical Journal, in cui abbiamo messo in relazione i risultati dei test cognitivi con la mortalità dei partecipanti nei successivi 68 anni. (…)
I nostri risultati dimostrano che esiste un’associazione, se pur modesta, tra un punteggio alto nei test cognitivi durante l’infanzia e il rischio di morire a causa di malattie cardiovascolari, respiratorie, tumori legati al fumo di sigaretta, e diverse altre patologie. In parte, queste associazioni statistiche sono legate al livello di educazione e allo status lavorativo, così come dall’adozione di comportamenti salutari come non fumare. Ma in parte esiste anche una piccola sovrapposizione sul piano genetico tra intelligenza e una salute migliore”.
Booom!!! Sembrava un’ovvietà ma non lo è. Perché se è logico e anche un po’ scontato che migliori capacità cognitive producano scelte migliori, un lavoro meglio retribuito e quindi condizioni di vita più agevoli e più comode e quindi più salutari, non era affatto scontato che chi nasce con un QI più alto avesse in dote anche una salute migliore prima che queste scelte entrassero in gioco. Ma è così e questo è quello che sta appurando la nuova branca della medicina che si chiama epidemiologia cognitiva.
Studi e scoperte che oltre alle curiosità da bar e ai commenti scontanti interessano, e molto, alla scienza vera. Capire se, come e perché i geni che regolano l’intelligenza condizionino quelli della salute e viceversa ci permetterebbe non solo di capire meglio come funzioniamo, ma anche come poterci curare. “Lo scopo è identificare questa associazione tra intelligenza e salute, e penso che sia una linea di ricerca che regala grande ottimismo: guardare a come si comportano le persone più intelligenti ci darà qualche indizio per difenderci dalle malattie e per vivere più a lungo, e ci permetterà di ridurre le disuguaglianze nel campo della salute”.