ROMA – Oltre un milione di persone, pari a circa il 5% del totale della forza lavoro italiana, vive di politica. Deputati e senatori sì, ma anche e soprattutto consiglieri regionali e provinciali e comunali. E assessori, portaborse, collaboratori, consulenti. E amministratori di società pubbliche, settemila le società, fate voi la moltiplicazione. (In Europa la media per paese di pubbliche società per servizi pubblici e di qualche centinaia). Una marea che per numeri e per costi può a buon diritto essere paragonata ad un esercito occupante del bilancio se non del suolo patrio.
A tradurre in numeri la locuzione spesso abusata “costi della politica” sono la Uil e il suo segretario Luigi Angeletti che, attraverso uno studio pubblicato ieri (25 settembre), raccontano quanti sono e quanto costano coloro che di politica vivono.
“Attraverso il monitoraggio dei dati ufficiali dei Bilanci delle Istituzioni (per Stato e Regioni il 2012, per Province e Comuni il 2011), emerge che, per il solo funzionamento degli Organi Istituzionali si spendono circa 6,4 miliardi di euro (209 euro per contribuente), di cui: 3,1 miliardi di euro per il funzionamento degli Organi dello Stato centrale (Presidenza della Repubblica, Camera dei Deputati, Senato della Repubblica e Corte Costituzionale, Presidenza del Consiglio, Indirizzo politico dei Ministeri), equivalente a 101 euro medi per contribuente; 1,1 miliardi di euro per il funzionamento di Giunte e Consigli Regionali (38 euro medi a contribuente); 2,1 miliardi di euro per il funzionamento di Giunte e Consigli Provinciali e Comunali (70 euro medi per contribuente).
Questi soni i costi “diretti” calcolati dalla Uil, Il Sole 24 Ore ha fatto altro calcolo e ha stimato i costi totali, cioè la quantità di denaro pubblico che, intermediata dalla politica, alla politica stessa in varie forme ritorna e sono 23 miliardi. E senza calcolae un solo euro di furti o illegalità.
Secondo le stime del Servizio Politiche Territoriali della Uil, sono oltre 1 milione e 100 mila le persone che vivono direttamente o indirettamente, di politica, il 4,9% del totale degli occupati nel nostro Paese. Un esercito composto da quasi 144 mila tra Parlamentari, Ministri, Amministratori Locali di cui 1.067 Parlamentari nazionali ed europei, Ministri e Sottosegretari; 1.356 Presidenti, Assessori e Consiglieri regionali; 3.853 Presidenti, Assessori e Consiglieri provinciali; 137.660 Sindaci, Assessori e Consiglieri comunali, a cui aggiungere la pletora di persone di CDA Aziende pubbliche, Consulenti, apparato politico”.
Un “esercito” lo definisce il documento della Uil, un esercito come può esserlo quello occupante, un esercito di locuste. Si fa fatica a rendersi conto di cosa voglia dire un milione e centomila persone che vivono di politica: più di tutti gli insegnanti della scuola di ogni ordine e grado, un terzo di tutti i dipendenti pubblici e statali, ben più dei metalmeccanici.
Un esercito straniero che ha invaso, assoggettato ed esige tributi dai cittadini che pagano le tasse? Sembra, o almeno ci piace pensarlo. Invece l’esercito è assai autoctono, è un grande e plumbeo lago sempre rifornito da rivoli, ruscelli e fiumi di società civile che là dentro vanno a gettarsi. Ora il costo dell’esercito è diventato insostenibile perché consuma troppo nei suoi accampamenti rispetto al “raccolto” nazionale. Insostenibile come la condizione di un contribuente del Lazio che paga ogni mese addizionale Irpef e scopre che un centesimo dei suoi soldi, sì proprio i suoi, è andato a finanziare cene e pranzi dei gruppi consiliari della Regione, quella Regione che gli ha messo l’addizionale in busta paga o pensione o bilancio d’azienda.
Emolumenti e benefit dei nostri politici sono infatti fuori standard se confrontati, per numero ed importo, con quelli degli omologhi di praticamente tutta Europa. Ma il nostro esercito, il nostro milione e passa di professionisti della politica presenta anche delle somiglianze con gli eserciti di locuste, quei simpatici insetti che periodicamente si presentano in gran numero, divorano tutto quello che possono e c’è e poi ripartono lasciando dietro di se il deserto. Che anche il nostro esercito si lasci alle spalle una specie di deserto comincia infatti ad assomigliare più che a un rischio ad una certezza. La spesa abnorme e dissennata, prolungata per anni se non decenni, altro non fa che impoverire la società drenando, come ha detto lo stesso Angeletti, “risorse reali dal sistema paese e dall’economia”.
Un milione e 100 mila professionisti della politica, tanti quanti gli insegnanti e un terzo dei dipendenti pubblici, sono evidentemente troppi ed obiettivamente tanti rispetto a 60 milioni di italiani. Se una simile proporzione di un “politico” ogni 60 abitanti la applicassimo agli Usa, ne conseguirebbe che gli Stati Uniti dovrebbero mantenere circa 5 milioni e mezzo di professionisti della politica a fronte di oltre 300 milioni di americani. Professionisti della politica che nel nostro Paese non vanno intesi esclusivamente come quelli che hanno vinto delle elezioni. Nell’esercito dei politicanti ci sono battaglioni di portaborse e sottosegretari, assessori e consulenti e, bottino di guerra di questo esercito, sono le circa 7000 società pubbliche. Società che prima di tutto, a prescindere da a cosa servano, portano in dote poltrone, potere e stipendi.
Le vicende di questi giorni che si stenta a definire politiche quando sarebbe più sano catalogarle come giudiziarie, hanno riacceso i riflettori sui costi della politica. Costi che l’arrivo di Mario Monti aveva fatto finire per un momento in secondo piano, quantomeno per la esteriore sobrietà di questo esecutivo se paragonato al precedente. Ma la storia delle vacanze di Roberto Formigoni e della sanità lombarda come quella dei finanziamenti della regione Lazio ha riportato questo tema alla ribalta, svelando la natura occupante dell’esercito che ci comanda. A differenza però delle armate straniere questo esercito non è piombato sulle nostre teste all’improvviso, ma è stato scelto, votato ed eletto. L’esercito occupante siamo noi.