“Se la montagna non va a Maometto, Maometto va alla montagna”, e se la legge non è in grado di regolare alcune materie, altri proveranno a colmare i buchi. In questo caso i notai che, come racconta Francesco Grignetti su La Stampa, tramite il loro consiglio nazionale hanno appena lanciato un’iniziativa: il 30 novembre, sabato, in ogni capoluogo di provincia il locale consiglio distrettuale del notariato terrà le porte aperte ai cittadini per spiegare il senso e i vantaggi dei contratti di convivenza. L’hanno chiamato “Contratti di convivenza Open Day”.
In assenza di iniziative legislative la soluzione, parziale, potrebbe allora essere uno degli appuntamenti che meno sembrerebbero aver a che fare con l’amore, quello dal notaio.
Ma cosa sono i “contratti di convivenza”? Il contratto di convivenza – spiega Grignetti – non sostituirà mai un “Pacs” o un “Dico”. Più banalmente, il contratto di convivenza è uno strumento poco noto che è già previsto dalle leggi e che può servire a una coppia di fatto per regolamentare alcune materie di reciproco interesse: l’acquisto di beni in comune, la gestione delle spese ordinarie e straordinarie, la disciplina dei doni ricevuti, i rapporti economici e patrimoniali, eventuali diritti maturati dalla coppia di fatto. Con il contratto di convivenza si possono poi regolare anche le incombenze e i reciproci diritti in caso di convivenza che finisce e la disciplina relativa alla casa dove si vive. A quale membro della coppia “scoppiata” assegnare l’abitazione in caso di separazione, ad esempio.
Il contratto di convivenza non regolamenta, invece, e non potrebbe essere altrimenti non essendoci la legge, né i diritti ereditari, né i cosiddetti diritti “indisponibili”. Esempio classico, l’educazione e il mantenimento dei figli. Ovviamente, ogni clausola inserita nel contratto di convivenza che sia contraria a prescrizioni di legge è nulla.
Il limite principale del contratto di convivenza, come spiega la dottrina, è nella sua natura atipica. Non può essere impugnato davanti a un magistrato. Nel caso in cui un convivente s’impegni a una data spesa, per dire, e poi non mantenga la parola, è impossibile ottenere dal tribunale il rispetto di quanto previsto dal contratto di convivenza.
Molti quindi i limiti di questo tipo di accordo che, proprio in ragione di questi, non può considerarsi un’alternativa a pieno titolo ai già citati Pacs o simili. Per regolamentare tutti gli aspetti della convivenza, compresi quei diritti “indisponibili” che sfuggono ai patti notarili, servirebbe e serve una legge dello Stato. Una legge che accordi il diritto all’assistenza, che regoli le questioni ereditarie e che regolamenti anche l’educazione dei figli. E questo al netto della questione delle coppie omosessuali perché, i contratti notarili come i Pacs, si possono applicare a coppie gay ma anche solo a coppie eterosessuali che non desiderano sposarsi. E che oggi non hanno soluzione diversa a quella di presentarsi davanti all’altare, religioso o laico che sia.
Non è la prima provocazione dei notai sul tema che, da almeno un anno, richiamano la politica alla necessità di intervenire su questo fronte dei nuovi diritti. In un congresso tenutosi a Napoli nel 2012, il consiglio nazionale del notariato ha addirittura presentato una proposta di legge per istituire i “patti di convivenza”. Nulla di scandaloso. Anzi, a giudizio dei notai è stata proprio la carica di rottura che c’era nei ddl sui Pacs o sui Dico, e cioè la questione delicatissima dei rapporti gay, che ha portato alle guerre ideologiche tra destra e sinistra e quindi, in ultima analisi, alla paralisi legislativa. Con i “patti di convivenza”, i notai proponevano qualcosa di molto più semplice e inoffensivo per la morale e la politica: i patti sarebbero stati sottoscritti dalle parti per regolare i rapporti economici in forma di scrittura privata, sarebbero stati autenticati dal notaio e da quest’ultimo registrati presso un Registro nazionale dei patti di convivenza e all’anagrafe del Comune di residenza, stabilendo le proprie volontà nel caso di rottura della convivenza oppure in caso di morte.
Di questi “patti di convivenza”, come i notai li avevano ipotizzati non se n’è più parlato. E ora i notai tornano alla carica “scavalcando” la politica, cercando cioè di offrire soluzioni che possano superare l’empasse e coprire i buchi legislativi che nel nostro Paese rimangono.