Montepaschi, banca Pd. Ma anche un po’ Pdl. Era la “pax senese”

SIENA – Lo scandalo Montepaschi ha nuociuto al Pd, al partito che controlla e controllava la più antica banca d’Italia. Una verità assunta ormai come certa nel comune sentire. Ma se è probabilmente vero che i democratici hanno perso voti in relazione alla vicenda Mps, non è poi così vero che fosse solo e soltanto il partito di Bersani ad aver interessi e amici nel gruppo di controllo del terzo gruppo bancario italiano. Racconta La Stampa, e soprattutto raccontano le intercettazioni dei magistrati, che le lunghe mani che arrivavano ad occuparsi delle nomine e delle scelte in casa Montepaschi non fossero solo quelle democratiche, ma anche quelle pidielline risalendo fin su, fino al Nord, fino ad Arcore.

Nella gestione dell’istituto senese si sarebbe realizzato quello che non si riesce a realizzare ora in Parlamento. Cioè un accordo tra parti avverse che garantisse poltrone ad entrambi, in quella che Gianluca Paolucci su La Stampa definisce “pax senese”. Un accordo che si reificava nella spartizione di poltrone, uomini e nomi in cui avrebbe detto la sua persino l’ex premier Silvio Berlusconi, oltre ad una serie di personaggi minori del centrodestra. Unico grande assente l’ex ministro “competente” Giulio Tremonti che, stando alle parole Giuseppe Mussari, “su Siena non ha messo bocca perché lui si è preso Unicredit”.

Un intreccio quello intorno a Mps dove compaiono nomi di primo piano della politica dell’una come dell’altra parte, personaggi minori, faccendieri, avvocatuncoli e personaggi di dubbia provenienza. In un minestrone dove sembra ben adattarsi il detto plebeo “il più pulito ha la rogna”. Del possibile coinvolgimento del coordinatore del Pdl Denis Verdini già si è detto e scritto. Le novità raccontate dal quotidiano diretto da Mario Calabresi riguardano fatti ancora più vecchi: una spartizione, un’idea di spartizione nata a cavallo tra la fine degli anni ’90 e i primi anni 2000 e che avrebbe garantito quella “pax senese” durata sino all’arrivo della magistratura.

“L’accordo per la spartizione degli incarichi del Monte – scrive La Stampa – risale a circa dieci anni prima, quando l’allora sindaco Pierluigi Piccini e l’allora segretario provinciale di Forza Italia, Fabrizio Felici, strinsero un accordo per ‘allargare la rappresentanza negli organi della Fondazione’ al centrodestra. Fu così che Felici nel 2001 divenne membro della deputazione della Fondazione Mps. Mentre nel 2003, con il rinnovo del consiglio di Montepaschi, Andrea Pisaneschi entra nel consiglio di amministrazione della banca in quota Forza Italia. Nel 2008 diverrà presidente di Antonveneta, in virtù di quella stessa pax senese che garantiva posti e prebende alla politica di entrambe le sponde”.

E Berlusconi? Il Cavaliere sarebbe stato a conoscenza dei fatti e anzi, i curricula e le candidature per gli incarichi in Mps sarebbero arrivati sino alla porta di Arcore. Nella villa dell’ex premier si sarebbe presentato Luigi Bisignani, prezzemolo in ogni minestra del potere politico economico come personaggio quasi fisso di ogni inchiesta e indagine giudiziaria,  per perorare la causa di un suo “candidato”: l’avvocato Sergio Lupinacci. Lupinacci, che avrebbe voluto far parte del consiglio d’amministrazione Mps e che per riuscirci muove mari e monti. Si fanno i nomi di Giulio Andreotti, Gianni Letta e, appunto, Silvio Berlusconi, oltre che il vicepresidente del consiglio regionale della Toscana Angelo Pollina, l’onorevole di Forza Italia Deborah Bergamini, il faccendiere Bisignani e anche Madre Tekla, badessa generale dell’Ordine del SS Salvatore di Santa Brigida, fino al banchiere Pellegrino Capaldo.

“Nonostante l’interessamento dei personaggi di rilievo innanzi citati,- scrive la Finanza nel suo rapporto – le notizie inizialmente avute dal Lupinacci si rivelavano alla fine negative”. Ma l’avvocato non dispera, sia Angelo Pollina che Luigi Bisignani lavorano per lui. Tanto che le cose sembrano alla fine muoversi nel verso giusto e Pollina e Lupinacci sono convinti di avercela fatta. Un ottimismo che nasce dalla certezza che si sarebbe mosso anche Silvio Berlusconi, “per la definizione dei membri del CdA ‘…stasera si decide tutto a Milano ove si trova il presidente del Consiglio’”, dicono al telefono.

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Elisa D'Alto