ROMA – Resistere, resistere, resistere. Questa volta non “ai guasti di un pericoloso sgretolamento della volontà generale, al naufragio della coscienza civica nella perdita del senso del diritto, ultimo, estremo baluardo della questione morale”, come invocava giusto 10 anni fa, nel 2002, Francesco Saverio Borrelli, ma resistere, tre volte resistere… alla spending review. Uniti sulle barricate della resistenza impavidi difensori della spesa pubblica al grido di “tagliare sì, ma non qui”, Ministeri e Comuni, forze dell’ordine e dipendenti pubblici, sindaci, parlamentari e partiti e, ovviamente, sindacati. La scure della spending review ogni giorno che passa fa un po’ meno paura perché ogni giorno guadagnato è un giorno che avvicina alla fine del governo Monti, o almeno alla data in cui il governo sarà così vicino alla fine da essere una “tigre di carta”. Se si scavalla l’estate è fatta, resistere quindi, basta solo qualche mese, per evitare di essere falcidiati.
Dalla spending review, cioè dal taglio della (mastodontica) spesa pubblica italiana, dovrebbero arrivare risorse e fondi per un’infinità di cose. Sviluppo, calo della pressione fiscale, ammortizzatori sociali, fondi per l’emergenza terremoto, tutte voci che in toto o in parte dovrebbero essere finanziate da questi tagli. Tagli che nella testa del governo Monti dovrebbero consentire di recuperare, negli anni, decine di miliardi di euro. Tagli difficili e dolorosi tanto che, per trasformarli in realtà, è stato chiamato un “super commissario” come Enrico Bondi, quello che prese in mano Parmalat dopo la caduta dell’ex patron Calisto Tanzi. Ma anche Bondi si trova alle prese con un fuoco di sbarramento degno della resistenza di Stalingrado. E fuoco che arriva anche da dove non te lo aspetti, cioè dagli stessi ministeri guidati dagli uomini che del governo che i tagli vorrebbe fanno parte. Una resistenza strenua che trova forza e coraggio nella debolezza dell’esecutivo e, ancor di più, dall’avvicinarsi del “traguardo elezioni”.
Per far diventare i tagli reali, per farli uscire dalla carta e metterli in pratica il governo ha bisogno di forza e sostegno parlamentare. Forza e sostegno che però si sgretolano un po’ ogni giorno. E poi le elezioni sono vicine, nel 2013 la legislatura “morirà” di morte naturale, tra un anno appena. Ma non è nemmeno detto che la vita del governo Monti sia così lunga, da più parti le elezioni anticipate vengono se non invocate almeno viste come una soluzione possibile. E così la resistenza vede il traguardo a portata di mano. Un anno al massimo devono tener duro, e probabilmente non servirà nemmeno tanto, qualche mese di melina potrebbe esser sufficiente.
“I ministri – scrive La Stampa – si stanno inventando ogni scusa per evitare i risparmi da almeno quattro miliardi promessi per il 12 giugno. C’è chi tira fuori debiti pregressi, chi teme le reazioni interne, chi tenta di convincere il commissario alla ‘spending review’ che per tagliare nella carne viva della spesa ci vuole tempo”. Melina appunto, melina in attesa di un vento nuovo, o forse del ritorno del vento vecchio che dei tagli promessi farà carta straccia. E poi i comuni, con i sindaci pronti ad incatenarsi davanti ai tribunali che dovrebbero essere cancellati, nonostante siano stati gli stessi magistrati a chiedere una razionalizzazione delle distribuzione sul territorio delle sedi. “Incatenamento” e difesa bipartisan, dove le differenze di casacca hanno perso ragion d’essere di fronte all’obiettivo comune.
Ancora le forze dell’ordine, carabinieri e polizia e i loro sindacati sul piede di guerra contro la paventata chiusura delle sedi più piccole, contro l’accorpamento delle sedi minori con le province limitrofe e, in ultimo, i dipendenti pubblici che non possono e non devono essere equiparati a quelli privati.
A parole tutti d’accordo che si debba risparmiare, razionalizzare, accorpare, limare gli sprechi, cioè tagliare per rendere più efficiente ed economico il “sistema Italia”. Tutti d’accordo fino a quando i tagli e le razionalizzazioni riguardano qualcun altro. Ma tutti contrari quando i tagli e i conti vengono presentati ai diretti interessati. Il momento peggiore della crisi, quello che coincise con la caduta del cavaliere sembra, erroneamente, acqua passata, e allora i tagli si possono anche mettere nel dimenticatoio.