Alessandro Camilli

Populismo pure sulla pasta: grano nazionale per decreto

Populismo pure sulla pasta: grano nazionale per decreto

ROMA – Populismo pure sulla pasta. Cosa è mai il populismo? Funziona così: si prende, si assume una credenza popolare, una cosa che alla gente fa piacere credere perché suona bene e suona armonica con il sentito dire. E si fa diventare questo umore condiviso e orecchiato una volontà di popolo, quindi un fatto materiale e infine una legge di Stato così la gente è contenta.

Populismo pure sulla pasta? Sulla pasta, proprio la pasta quella che mangiamo a tavola, insomma la pasta al sugo o con ogni altro condimento che la cucina italiana ha meravigliosamente inventato? Sì, populismo alla grande pure lì. E come?

Ecco come: si assume la credenza popolare, la cosa che alla gente fa piacere sentire e cioè che la pasta italiana deve essere fatta con il grano italiano. Altrimenti che pasta è? La gente pensa così perché fa due più due: noi italiani siamo i maggior consumatori al mondo di pasta dunque dobbiamo esser per forza i maggior produttori di grano. Ma è un due più due ingannevole a anche alquanto ignorantello. Già all’epoca dei Romani la penisola importava grano in gran quantità, anche se non ci faceva la pasta. Nei secoli la penisola non è mai stata autosufficiente in tema di grano.

Ma agli italiani piace crederlo, cambiano e di molto le modalità del crederlo. Cambia poco la credenza. Erano gli anni ’30 del secolo scorso e gli italiani in camicia nera credevano alla vittoria nella battaglia del grano e al Duce trebbiatore. Finì che allora gli italiani mangiavano surrogati. Oggi si crede in tutt’altro: nell’assoluta divinità del chilometro zero. Che poi vorrebbe dire ci si ciba solo di ciò che viene allevato e coltivato in prossimità. Fosse questo comandamento osservato nella sua interezza sarebbe dieta dura e poco variata. Ma…insomma chilometro zero si fa per dire.

Per dire si scrive sulle etichette dei cibi “biologico” oppure “senza” (glutine, grassi, sale, zucchero, olio…non ha importanza purché sia un qualche senza) e la gente compra di più e più volentieri. Magari non ha idea di cosa sia davvero biologico, magari compra senza a prescindere (la stessa gente che due-tre decenni fa comprava di più e più volentieri i prodotti con etichetta dove c’era sottolineato “con”). Magari miracoli e prodigi del marketing, fatto sta che la santa trinità del mangiar corretto e sano secondo marketing appunto è oggi costituita da biologico, senza e…nazionale! Nazionale, tricolore, italiano deve essere il cibo e quindi anche il grano. Nazionale è buono, non italiano è cattivo. O almeno scadente.

Ed eccolo il nazional populismo montante perfino sulla pasta. Arriva un decreto, niente meno un decreto che impone sulle confezioni di pasta l’indicazione della nazionalità del grano usato per produrla. Per difendere i consumatori si dice, per renderli consapevoli. L’effetto ovvio sarà quello di dirottare gli acquisti di pasta su chi esporrà sull’etichetta la dizione grano italiano. Punto.

E tanti saluti alla consapevolezza. Perché con il solo grano italiano non si arriva a coprire più del 60 per cento dell’attuale consumo (e quindi con tutta probabilità avremo aumento dei prezzi della pasta solo grano italiano). E perché l’indicibile è che la pasta che noi italiani meglio di tutti sappiamo cucinare e mangiare viene meglio se prodotta con semole miste di grano italiano e non italiano perché quello tutto tricolore rischia…di scuocere prima!

Eccolo il populismo-nazionalismo all’opera pure sulla pasta. Grande consenso, favor di popolo e prezzo più alto e, orrore vero e massimo, pasta autarchica che…scuoce!

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Mino Fuccillo