
ROMA – “Per noi è una stangata”. Periodico, stanco e stancante si ripete il mantra dei cosiddetti ceti produttivi, dei commercianti, indirizzato oggi contro la volontà, per ora solo verbale, di estendere l’utilizzo della moneta elettronica anche agli importi minimi, al di sotto dei 30 euro. Ma se la “stangata” è uno spauracchio, una parola abusata che torna ad ogni affacciarsi di novità, oggi hanno i commercianti dalla loro qualche ragione concreta e vera, e cioè i costi di gestione. Costi che sono decisamente alti rispetto a molti paesi esteri e all’economia di mercato, a partire dai quasi 100 euro necessari solo per l’attivazione del servizio.
Passare dalla moneta fisica a quella elettronica non è infatti gratis. E non lo è soprattutto per chi la moneta elettronica dovrebbe attrezzarsi a ricevere. Se da una parte infatti ci sono i consumatori, o almeno quelli che auspicano una maggior diffusione di carte di credito, bancomat e soprattutto pos perché questi garantiscono una più efficace lotta all’evasione ed un’evoluzione sul fronte comunità rendendo se non inutile meno impellente il ricorso ai prelievi, dall’altra c’è appunto chi di pos si deve o dovrebbe dotare. Condizionale quanto mai d’obbligo nel nostro strano Paese dove da qualche tempo è in vigore l’obbligo per legge per tutti di dotarsi del suddetto pos per i pagamenti superiori ai 30 euro, obbligo che non prevede però sanzioni.
E per questo, anche per questo i punti di accesso pos adibiti a ricevere pagamenti elettronici con carte di debito (bancomat) e credito sono scesi dai 53.493 del 2013 a 46.029 nel 2014. E val la pena sottolineare che l’obbligo è entrato in vigore a metà 2014, il primo luglio per l’esattezza. Oggi, a circa un anno e mezzo dall’entrata in vigore del suddetto obbligo, arriva la proposta di estendere il terreno concesso ai pagamenti elettronici anche agli acquisti al di sotto dei 5 euro. Proposta che non piace, come non piaceva l’obbligo, ai commercianti e che invece, in una logica simmetrica e contraria, piacerebbe ai consumatori. Dalla parte, o tra le ragioni vere dietro il malumore dei commercianti, i costi.
Un’analisi recentissima di SosTariffe.it dice che attivare un pos costa in media oltre i 2 mila euro l’anno, non poco, specie per una piccola attività. Entrando nel dettaglio si scopre che l’attivazione del servizio stesso varia tra i 75 e gli 82 euro a seconda della tipologia adottata, cioè se mobile (gestibile tramite smartphone) o tradizionale, agganciato ad una linea fissa Adsl. L’attivazione nulla a che fare però con il canone mensile per il servizio che si aggira in media (dipende dalle offerte degli operatori) intorno ai 24 euro al mese per la linea fissa e quasi 10 euro per rete mobile. A questi cosi iniziali ci sono da aggiungere le spese di attività.
L’esercente paga infatti una percentuale o una cifra fissa per ogni transazione elettronica effettuata con costi che variano in funzione della carta utilizzata dall’acquirente. Se è una carta di credito il commerciante dovrà versare circa il 2% di quanto transato. Se invece si tratta di un bancomat si aprono ulteriori due strade – come spiega sul Corriere della Sera – che complicano ulteriormente il quadro. Perché tutto dipende dalla tariffa attivata: 1) l’addebito avviene con una commissione fissa per ogni transazione (in media – registra Sos Tariffe – 1,29% se si è scelto un Pos tradizionale, 1,84% con Pos mobile); 2) l’addebito per l’esercente avviene tramite il combinato disposto tra una cifra fissa per ogni transazione più una commissione aggiuntiva sull’importo transato (1,95% per chi adotta un Pos tradizionale più 29 centesimi per transazione e 1,79% più 21 centesimi in media per chi ha un dispositivo senza fili). Ecco perché in un anno avere quel dispositivo – che ora potrà rendersi necessario anche per i micro-importi – può costare 1.684 euro in media all’anno per uno studio medico, 3.812 euro per un ristorante, 3.983 euro per un negozio ipotizzando che sia dotato di un mobile Pos e tutti pagamenti siano stati effettuati con bancomat.
Quindi il pianto greco dei commercianti, lo andremo in rovina se caffè al bar o giornale in edicola o biglietto dal tabaccaio si potrà pagare anche col bancomat risponde al riflesso condizionato, all’istinto e cultura di difendere l’esistente. E ovviamente il tanto “nero”, incassi cash e fiscalmente oscurati, che c’è dentro l’esistente. Lacrimatoio che porta i piangenti a non vedere che nella proposta di legge c’è una diminuzione sensibile dei costi per gli esercenti con pos che rendono possibili i pagamenti elettroni ci sotto i cinque euro. Ma oltre a questo c’è anche l’arretratezza del sistema del credito italiano: i Pos, questa l’attenuante per i commercianti, costano troppo. Non quel che dicono loro che la sparano grossa e improbabile sui 500 euro al mese, ma comunque costano troppo.
Infine ma non ultimo c’è in questo sgomento una reazione allergica. Dei commercianti ma in fondo di tutti i gruppi sociali. Allergia ad una economia libera e non sotto tutela e assistenza. A sinistra sinistra fa orrore poter liberamente pagare con tremila (ma anche duemila e anche 1.500) euro cash. A destra fa scandalo si possa pagare con moneta elettronica. Soprattutto un po’ a tutti fa impressione e discreta paura che uno sia libero di scegliere come pagare e che commercio ed economia siano altrettanto liberi delle sue scelte.
